domenica 3 aprile 2011

«Aprite le porte a Gesù!»

- Una sera san Luigi Maria Grignion da Montfort cammi­nava per le strade di Dinant, quando incontrò un povero mendicante sfinito dall'inedia e coperto di piaghe. Senza farsi pregare, gli si avvicina, lo consola, lo ab­braccia, se lo carica delicatamente sulle spalle e si diri­ge verso la casa della missione. Poiché era un po' tardi e la porta era già chiusa, bussa sollecitamente, gridan­do: «Aprite le porte a Gesù... Aprite le porte a Gesù!». Entrato, lo rifocilla con grande delicatezza e sollecitu­dine e lo fa dormire nel suo letto. Il povero è un "sacra­mento" di Gesù; è un grande mistero che occorre saper penetrare!

Un lavoro manuale celeste

- In occasione del centenario della morte di santa Bernadet­te Soubirous, è stata riesumata una pagina del romanziere Franz Werfel che vogliamo qui riportare: «Recitare il Ro­sario è una specie di lavoro manuale celeste; un invisibile cucire o lavorare a maglia o ricamare, compiuto alacre­mente mediante le cinquanta avemarie della corona di per­line. Chi per anni e anni dice ogni giorno molti Rosari, si crea un bel tessuto col quale un giorno la misericordia ce­leste potrà coprire una parte dei suoi peccati. Anche se i pensieri spesso vagano allontanandosi dalle formule pie, anche se si manda qualche sospiro per il prezzo esagerato delle uova o se, recitando un'Ave, ci si appisola per qual­che minuto, non è questa una gran disgrazia, perché si av­verte un senso di sicurezza quale non si è mai provato».

Senza fretta

- È famosa e significativa l'antichissima leggenda della pia monaca Eulalia, la quale ogni giorno recitava il Sal­terio della Beata Vergine Maria, ossia l'equivalente del­le tre corone del Rosario, con una certa "fretta", forse per dirlo più volte al giorno o forse perché presa dai molti impegni. Un giorno la Madonna le apparve, la lo­dò molto per la fedeltà a quella preghiera, ma insieme l'ammonì, esortandola ad andare più adagio, dicen­dole che preferiva sentire solo cinquanta Ave Maria, ma dette bene, ossia con attenzione e devozione. A quella stessa monaca, la Vergine disse: «Ogni volta che mi si onora col saluto dell'angelo, alle parole "Il Signo­re è con te", mi sento trasalire di una tal gioia, che non si può descrivere a parole».
 

La vicenda di suor Beatrice

- Narra sant'Alfonso de' Liguori nelle "Glorie di Maria" che una certa suor Beatrice, monaca nel monastero di Fontevrault, un giorno, vinta dalla passione per un giova­ne, decise di lasciare la vita religiosa. Davanti all'imma­gine della Madonna, presso la quale spesso pregava, depose le chiavi del monastero - ne era infatti la porti­naia - e con esse anche il suo abito religioso, fuggendo, senza avvisare nessuno. Giunta in una lontana città, si diede ad una vita di peccato e di facili amori. Visse quindici anni così, miseramente. Ma un giorno le capi­tò di incontrare il vecchio fattore del monastero. Senza farsi riconoscere, chiese che cosa si dicesse sul conto di suor Beatrice. Quegli rispose: «Su suor Beatrice le posso dare notizie veramente buone: è una suora molto santa, tanto che le è stato affidato l'incarico di maestra delle no­vizie». La donna rimase stupita ad una simile risposta e volle andare a fondo della questione. Si travestì, ritornò, bussò alla porta del suo antico monastero e chiese di par­lare con suor Beatrice. Attese un po' in portineria ed ec­co, non una suora, ma la Madonna - quella stessa che le apparve sotto le sembianze della statua presso la quale, fuggendo, aveva lasciato le chiavi e l'abito religioso-, le si presentò benignamente, e così le parlò: «Beatrice, fi­glia mia, per impedire il tuo disonore, per tutti questi an­ni, ho preso la tua fisionomia e il tuo posto nel monastero: ho fatto con amore il tuo ufficio. Ora torna, fa' penitenza! Hai visto che la vita fuori non ti ha resa poi così felice co­me il tuo cuore desiderava! Gesù, il tuo primo amore, ti aspetta ancora. Figlia, ora riprendi il tuo abito e il tuo im­pegno qui e procura, con una vita fervorosa, di conserva­re il buon nome, che io ti ho acquistato!». Ciò detto, disparve. Allora Beatrice rivestì l'abito religioso e ri­prese il suo posto nel monastero, vivendo il resto della sua vita da santa, nell'imitazione della Madonna, sua mera­vigliosa "supplente", rivelando solo in punto di morte, la sua straordinaria vicenda a gloria della Santa Vergine.

L'efficacia dell'acqua benedetta

Racconta Santa Teresa nel suo Libro della vita come, una vol­ta, il demonio per due volte le appar­ve e subito fuggì, non appena lei fece il segno della croce, ma ritornò poco dopo. Quando lei aggiunse l'acqua be­nedetta al segno della croce, lui scom­parve definitivamente. Per questo, molte volte, al fine di fare le sue ora­zioni in pace, la santa riformatrice del Carmelo chiedeva alle sue suore che la aspergessero ripetutamente.

A dispetto del diavolo!

 - Nella vita di san Vincenzo Ferreri, si legge che un gior­no, fu pregato di far visita ad un malato grave, che aveva condotto una vita disordinata e corrotta. Il Santo vi andò e con fervore gli parlò della misericordia di Dio, che perdona i più grandi peccati e che tutti vuole salvi in Paradiso. Ma questi, dopo aver ascoltato con impassibi­lità le dolci parole del Santo, per tutta risposta cominciò ad urlare e bestemmiare, dicendo di volersi dannare a di­spetto di Dio. San Vincenzo, però, non si diede per vin­to e, in un impeto di fede, rispose: «Ed io ti salverò a dispetto del diavolo!». Disse ai presenti di inginocchiar­si e iniziò la recita del santo Rosario, con un fervore ed una semplicità incantevoli. L'infermo tacque per quasi tutto il tempo della recita della corona benedetta; soltan­to verso la fine proruppe in un pianto dirotto. Chiese per­dono degli scandali e morì riconciliato con Dio.

Una stretta di mano

Guido di Fontgalland, noto in tutto il mondo per la sua vita piena di semplice e sublime amore a Gesù, se ne volò al Cielo nel 1925, a soli dodici anni. Fin dall'età di cinque anni, quando faceva l'elemosina, aggiungeva sempre una stretta di mano al povero. A chi gliene chie­deva il perché, rispondeva: «Voglio dare anch'io qual­cosa di mio ai poveri. Il denaro appartiene a mamma e papà, la stretta di mano è mia. Vedo che anche questo gesto fa molto piacere alla gente».

L'EUCARISTIA: UNA "PENTECOSTE PERPETUA"

L'EUCARISTIA: UNA "PENTECOSTE PERPETUA"
(BENEDETTO XVI)
Con grande gioia, carissimi amici, vi esprimo la mia gra­titudine per la vostra costanza nel leggere queste importantis­sime riflessioni sul Sacramento dell'Amore: la divina Eucaristia!
Se dovessero chiederci: «Come vorresti la tua vita?», sa­rebbe bello rispondere senza la minima esitazione: «Vorrei una vita totalmente eucaristica!». Ciò significa vivere donando total­mente se stessi a Dio nei fratelli, come fece Gesù: «Il Figlio dell'uo­mo non è venuto per essere servi­to, ma per servire e dare la pro­pria vita in riscatto per molti» (Mc 10,45). «Nessuno ha un amore più i propri amici» (Gv 15,13). Un esempio significativo è san Pao­lo, che diceva: «Vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me!» (Gal 2,20). «Mi sono fatto tutto a tutti, per salvare ad ogni costo qualcu­no» (1 Cor 9,22).
Credo che non esista un ideale più perfetto di questo, qualunque sia il nostro stato di vita: sposati, appartenenti all'or­dine sacerdotale o alla vita con­sacrata, persone singole o per­sone vedove... L'aveva predetto Gesù ai suoi: «Io, quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me» (Gv 12,32). Innalzato sulla Croce, ha iniziato a donare se stesso a tutti e ha voluto perpe­tuare questo suo dono mediante la Celebraziobe eucaristica. Fino alla fine del mondo, attraverso i suoi sacerdoti, continua a ricor­darci che nessuno è escluso dal suo Amore misericordioso, anzi il suo dono non è più un puro ricordo, ma addirittura un quo­tidiano nutrimento: «Prendete e mangiatene tutti, questo è il mio Corpo... Prendete e bevetene tutti: questo è il mio Sangue... » (cf. Mt 26,26-28).
“Gioisca il tuo cuore”
L’Eucaristia, proprio perché è il dono supremo dell'Amore e della Misericordia, è come un Sole, che quasi apre se stesso in innumerevoli vie di Luce fino a raggiungere tutti i cuori, facendoli palpitare di ineffabili gioie! Osia­mo dire che, nell'Eucaristia, Gesù si rende visibile a noi (agli occhi della nostra fede), realizzando la promessa fatta agli apostoli: «Vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà e nessuno vi potrà to­gliere la vostra gioia» (Gv 16,22). Quante volte la sperimentò santa M. Faustina, come ci racconta in questo episodio: «Durante i ve­spri vidi Gesù splendente come il sole, con una veste bianca e mi disse: "Gioisca il tuo cuore", ed una gioia grande m'inondò e mi trapassò da una parte all'altra la presenza di Dio, che è un teso­ro inenarrabile per l'anima» (Q.I, n.415).
Vi confido che la mia vocazione alla vita consacra­ta è nata proprio davanti a Gesù Eucaristia. Avevo tredici anni quan­do, durante un ritiro spirituale di tre giorni, entrai in cappella per partecipare alla preghiera comu­nitaria del pome­riggio. Quando il sacerdote innalzò l'ostensorio per la solenne Bene­dizione eucaristi­ca, sentii nell'ani­ma la chiamata di Dio ad essere per sempre sua. Nel grande silenzio che m'avvolgeva, ricevevo la benedizione di Gesù Eucaristia come la prima promessa d'Amo­re. E come la sera di Pasqua, Gesù, con il suo Corpo glorioso, entrava nel cenacolo per alitare il suo Spirito sugli apostoli, così, con infinita misericordia, mi donava il suo Spirito d'Amore, attraverso il suo stesso Corpo, Sangue, Anima e Divinità, che adoriamo nell'Eucaristia.
Sebbene non trovassi una ri­sposta adeguata all'Infinito che si chinava su di me, espressi con un'immagine il desiderio unico ed altrettanto infinito, che s'ac­cese nel mio cuore: «Gesù, voglio essere un tuo rag­gio di sole!». Col passare degli anni, Dio mi fece sperimentare che lo Spirito Santo era il Sole vivente nell'Eucaristia e che, mediante la Co­munione eucaristica, continuamente si effonde dentro di noi, fino a trasfi­gurarci con la sua Luce a tal punto da irradiarLa at­torno a noi. Così, infatti, ci spiega Bene­detto XVI nella Sacramentum caritatis: «È in forza dell'azio­ne dello Spirito Santo che Cristo stesso rimane presente ed ope­rante nella sua Chiesa, a partire dal suo centro vitale che è l'Eucaristia. La conversione sostanzia­ le del pane e del vino nel suo Corpo e nel suo Sangue pone dentro la creazione il principio di un cambiamento radicale, come una sorta di "fissione nucleare" (per usare un'immagine a noi ben nota) portata nel più intimo dell'essere, un cambiamento de­stinato a suscitare un processo di trasformazione della realtà, il cui termine ultimo sarà la trasfi­gurazione del mondo intero, fino a quella condizione in cui Dio sarà tutto in tutti (cf. 1Cor 15,28). Ciò che lo Spirito Santo tocca, conclude san Cirillo di Gerusa­lemme, è santificato e trasforma­to totalmente» (cf. nn. 11-13).
"Egli vi battazzerà in Spirito e fuoco" (Mt 3,11)
Se Dio vuole darsi a tutti, vuole anche stabilire un rapporto personalissimo con ciascuno. Comprendiamo così perché santa Maria Faustina di­chiara che l'Eucaristia è dono e testamento della Divina Miseri­cordia. Dio non ha abbandonato l'uomo in potere della morte, ma nella sua Misericordia a tutti è ve­nuto incontro, perché quelli che Lo cercano, possano trovarLo.
Solo Dio sa cosa c'è nel cuo­re dell'uomo (cf. Gv 2,25) ed ha mandato il suo Figlio come l'unico Salvatore! Secondo il di­segno del Padre, Gesù è venuto per battezzarci in Spirito Santo e fuoco (Mt 3,11). Pertanto com­prendiamo le sue parole: «Sono venuto a portare il fuoco sulla ter­ra e come vorrei che fosse già ac­ceso! C'è un battesimo che devo ricevere; e come sono angoscia­to, finché non sia compiuto!» (Lc 12,49-50). Siamo dunque salvati attraverso il dono dello Spiri­to, che Gesù effuse su tutti noi, morendo sulla Croce. Lui solo e pertanto nessun'altro può so­stituirsi a Lui nel dono del suo Spirito ad ogni creatura umana.
Il suo Spirito, infatti, non si limi­ta ad abitare in noi, ma, poiché è il nostro Creatore, può penetra­re le profondità abissali del no­stro essere fino ad operare una redenzione personalissima, una vera ri-generazione, come una nuova creazione, che ci fa real­mente figli di Dio. «A quanti però l'hanno accolto, ha dato potere di diventare figli di Dio. a quelli che credono nel suo nome, i quali non da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati» (Gv 1,12-13). Si tratta di una rigenerazione, che è anche l'anelito universale delle creature, come dice bene san Paolo: «La creazione stessa attende con impazienza la rivela­zione dei figli di Dio; essa infatti è stata sottomessa alla caducità - non per suo volere, ma per vo­lere di colui che l'ha sottomessa - e nutre la speranza di essere lei pure liberata dalla schiavitù della corruzione, per entrare nella li­bertà della gloria dei figli di Dio» (Rm 8,19-21).

"Ogni volta elle celebriamo la Santa Messa riceviamo lo Spirito Santo"

In conclusione, lo Spirito Santo è il principio di una vita nuova in Cristo, che è pro­priamente divina ed eucaristica! Benedetto XVI nel meraviglioso Messaggio per la XXIII Giorna­ta Mondiale della Gioventù, dal tema: «Avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi e mi sarete testimoni» (At 1,8), spiega come ciò avviene (cf. nn. 5-6). È con i sacramenti dell'iniziazione cristiana (che sono complemen­tari ed inscindibili): il Battesimo, la Confermazione e, in modo continuativo, l'Eucaristia, che lo Spirito Santo ci rende figli del Padre, fratelli di Gesù, membri della sua Chiesa, capaci di una vera testimonianza al Vangelo, fruitori della gioia della fede.
Più profondamente il Papa osserva che per crescere nella vita cristiana, è necessario nu­trirsi del Corpo e del Sangue di Cristo: infatti, siamo battezzati e confermati in vista dell'Euca­ristia. "Fonte e culmine" della vita ecclesiale, l'Eucaristia è una "Pentecoste perpetua", poi­ché ogni volta che celebriamo la Santa Messa riceviamo lo Spiri­to Santo, che ci unisce più pro­fondamente a Cristo e in Lui ci trasforma. Portiamo dentro di noi quel sigillo dell'amore del Padre in Gesù Cristo, che è lo Spirito Santo: «L'amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato donato» (Rm 5,5).
Nel messale Romano il ce­lebrante implora: «A noi che ci nutriamo del Corpo e Sangue del tuo Figlio dona la pienezza dello Spirito Santo, perché di­ventiamo in Cristo un solo cor­po e un solo spirito. Così, con il dono del suo Cor­po e del suo Sangue, - sottolinea Giovanni Paolo II - Cristo accre­sce in noi il dono del suo Spirito, effuso già nel Battesimo e dato come "sigillo"nel sacramento della Confermazione» (Ecclesia de Eucaristia, 17).
Venendo in noi, lo Spirito Santo compie la promessa di Gesù ed anche la sua preghiera al Padre: «Quando verrà il Conso­latore che io vi manderò dal Pa­dre, mi renderà testimonianza... e vi guiderà alla verità tutta inte­ra» (Gv 15,26). «Padre... ho fatto conoscere loro il tuo nome e lo farò conoscere, perché l'amore con il quale mi hai amato sia in essi e io in loro» (Gv 17,26).
Pertanto lo Spirito Santo - afferma Benedetto XVI - illumi­na, rivelando Cristo crocifisso e risorto, e ci indica la via per di­ventare più simili a Lui, per esse­re cioè "espressione e strumento dell'amore che da Lui promana". La presenza dello Spirito in noi attesta, costituisce e costriiisre la nostra persona sulla Persona stessa di Gesù crocifisso e risor­to. Rendiamoci dunque familiari dello Spirito Santo, ci invita il Papa, per esserlo di Gesù. In tal modo la nostra vita sarà sempre più un riflesso del grande Miste­ro eucaristico!
Carissimi amici, fu questa l'esperienza di santa M. Faustina del SSmo Sacramento, che così pregava Dio: «O Gesù nascosto, in Te c'è tutta la mia forza. Fin dai più teneri anni Gesù nel San­tissimo Sacramento mi ha attirata a Sé. All'età di sette anni, mentre ero ai vespri e Gesù era esposto nell'ostensorio fu allora che mi venne trasmesso per la prima vol­ta l'amore di Dio e riempì il mio piccolo cuore ed il Signore mi fece comprendere le cose divine e da quel giorno ad oggi il mio amore verso Dio nascosto è aumentato fino a raggiungere la più stretta intimità. Tutta la forza della mia anima proviene dal Santissimo Sacramento. Tutti i momenti libe­ri li passo a colloquio con Lui, Egli è il mio Maestro» (QN, n.1404).
L'incoraggiamento di Bene­detto XVI ai giovani (cf. nn. 4-5) vale per tutti: «Lo Spirito Santo è sorgente di vita che ci santifica: ci introduce nel mistero trinita­rio, permettendoci di vivere in pienezza la fede e accendendo in noi il fuoco dell'amore. Ci ren­de così missionari della carità di Dio!... Lo Spirito del Signore si ricorda sempre di ciascuno e vuole, mediante voi giovani in particolare, suscitare nel mon­do il vento e il fuoco della Pen­tecoste!».
Dott.ssa Federica Rosy Romersa(Tratto dalla rivista: “Dives in misericordia”)

sabato 2 aprile 2011

Mandami qualcuno da amare (Madre Teresa di Calcutta)

Signore, quando ho fame,
dammi qualcuno che ha bisogno di cibo;
quando ho un dispiacere,
mandami qualcuno da consolare;
quando la mia croce diventa pesante,
fammi condividere la croce di un altro;
quando non ho tempo,
dammi qualcuno che io possa aiutare per qualche momento;
quando sono umiliato,
fa che io abbia qualcuno da lodare;
quando sono scoraggiato,
mandami qualcuno da incoraggiare;
quando ho bisogno della comprensione degli altri,
dammi qualcuno che ha bisogno della mia;
quando ho bisogno che ci si occupi di me,
mandami qualcuno di cui occuparmi;
quando penso solo a me stesso,
attira la mia attenzione su un'altra persona.
Rendici degni, Signore, di servire i nostri fratelli,
che in tutto il mondo vivono poveri ed affamati.
Dà loro oggi, usando le nostre mani, il loro pane quotidiano,
e dà loro, per mezzo del nostro amore comprensivo, pace e gioia.

La Croce: Collocazione Provvisoria (Don Tonino Bello)

Gesù non è vittima della forza del destino; è salito sulla croce perché l’ha voluto.
La sua accettazione non è rassegnazione passiva, ma è accoglimento della croce,
è accettazione della volontà del Padre.
E’ una visione bellissima, che ci schioda dalla situazione di condannati a vita.

Se è vero che la croce è l’unità di misura di ogni impegno cristiano,
 dobbiamo fare attenzione al pericolo che stiamo correndo:
 quello che san Paolo chiama “l’evacuazione della croce”
 la croce rimane sempre al centro delle nostre prospettive, ma noi vi giriamo al largo,
come quando, si sfiora una città passando dalla tangenziale.
L’automobile corre sulla strada, si da un’occhiata ai campanili, ma tutto finisce lì.
 Santa Maria, donna dell’ultima ora, quando giungerà per noi la grande sera
e il sole si spegnerà nei barlumi del crepuscolo,
 mettiti accanto a noi perché possiamo affrontare la notte.
 E’ una esperienza che hai già fatto con Gesù,
quando alla sua morte il sole si eclissò e si fece gran buio su tutta la terra.
Questa esperienza, ripetila con noi.
 Piantati sotto la nostra croce e sorvegliaci nell’ora delle tenebre.

Se è vero che ogni cristiano deve accogliere la sua croce,
 ma deve anche schiodare tutti coloro che vi sono appesi,
 noi oggi siamo chiamati a un compito dalla portata storica senza precedenti:
“Sciogliere le catene inique, togliere i legami del giogo, rimandare liberi gli oppressi”
(Is 58,6).
Pertanto, non solo dobbiamo lasciare il “belvedere" delle nostre contemplazioni panoramiche
 e correre i aiuto del fratello che geme sotto la sua croce personale,
ma dobbiamo anche individuare,
con coraggio e intelligenza, le botteghe dove si fabbricano le croci collettive.

 L’accoglienza porta diritto al cuore del crocifisso.
 Dobbiamo accogliere il fratello come un dono, non come un rivale o un possibile concorrente.
 Accogliere il fratello con tutti i suoi bagagli, perché non ci vuole molto
 ad accettare il prossimo senza nome, contorni, o fisionomia.
 Ma occorre una gran fatica per accettare chi abita di fronte a casa mia.
La riconciliazione verso i nostri nemici: noi dobbiamo assolutamente dare un aiuto
 al fratello che abbiamo ostracizzato dai nostri affetti,
stringere la mano alla gente con cui abbiamo rotto il dialogo,
porgere aiuto al prossimo col quale abbiamo categoricamente deciso
 di archiviare ogni tipo di rapporto.
E’ su questa scarpata che siamo chiamati a vincere la pendenza del nostro egoismo
 e a misurare la nostra fedeltà al mistero della croce.
Purtroppo la nostra vita cristiana non incrocia il Calvario.
 Non s’inerpica sui tornanti del Golgota.
Come i Corinzi anche noi, la croce,
l’abbiamo “inquadrata” nella cornice della sapienza umana,
e nel telaio della sublimità di parola.
 L’abbiamo attaccata con riverenza alle pareti di casa nostra,
ma non ce la siamo piantata nel cuore.
Pende dal nostro collo, ma non pende sulle nostre scelte.
 Le rivolgiamo inchini in chiesa, ma ci manteniamo agli antipodi della sua logica.
Al Golgota si va in corteo, pregando, lottando, soffrendo con gli altri.
 Non con arrampicate solitarie, ma solidarizzando con gli altri che, proprio per avanzare insieme,
si danno delle norme, dei progetti, delle regole precise, a cui bisogna sottostare da parte di tutti.
Se no, si rompe il tessuto di una comunione che, una volta lacerata,
richiederà tempi lunghi per pazienti ricuciture.
La croce, l’abbiamo isolata: è un albero nobile che cresce su zolle recintate,
nel centro storico delle nostre memorie religiose,
all’interno della zona archeologica dei nostri sentimenti.
Ma troppo lontano dalle strade a scorrimento veloce che battiamo ogni giorno.
Abbiamo bisogno di riconciliarci con la croce e di ritrovare,
sulla carta stradale della nostra esistenza paganeggiante,
 lo svincolo giusto che porta ai piedi del condannato!
Collocazione provvisoria. Penso che non ci sia formula migliore per definire la croce.
La mia, la tua croce, non solo quella di Gesù.
 Coraggio, allora: la tua croce, anche se durasse tuta la vita,
 è sempre “collocazione provvisoria”.
Il Calvario, dove essa è piantata , non è zona residenziale.
E il terreno di questa collina, dove si consuma la tua sofferenza,
non si vedrà mai come suolo edificatorio.
C’è una frase immensa, che riassume la tragedia del creato alla morte di Cristo:
“Da mezzogiorno alle tre del pomeriggio, si fece buio sulla terra”.
 Forse è la frase più scura di tutta la Bibbia. Per me è una delle più luminose.
 Proprio per quelle riduzioni di orario che stringono, come due paletti invalicabili,
il tempo in cui è concesso al buio di infierire sulla terra.
 Ecco le sponde che delimitano il fiume delle lacrime umane.
Ecco le saracinesche che comprimono in spazi circoscritti tutti i rantoli della terra.
 Ecco le barriere entro cui si consumano tutte le agonie dei figli dell’uomo.
Un giorno, quando avrete finito di percorrere la mulattiera del Calvario
 e avrete sperimentato come Cristo l’agonia del patibolo,
 si squarceranno da cima a fondo i veli che avvolgono il tempo della storia
 e finalmente saprete che la vostra vita non è stata inutile.
Che il vostro dolore ha alimentato l’economia sommersa della grazia.
Che il vostro martirio non è stato un assurdo, ma ha ingrossato il fiume
 della redenzione raggiungendo i più remoti angoli della terra.
Coraggio, fratello che soffri. C’è anche per te una deposizione della croce.
Ecco già una mano forata che schioda dal legno la tua.
Ecco un volto amico, intriso di sangue e coronato di spine,
che sfiora con un bacio la tua fronte.
 Ecco un grembo di donna che ti avvolge di tenerezza.
Coraggio! Mancano pochi istanti alle tre del tuo pomeriggio.
Tra poco, il buio cederà il posto alla luce, la terra riacquisterà i suoi colori
e il sole della Pasqua irromperà tra le nuvole in fuga.
Riconciliamoci con la gioia.
 La Pasqua sconfigga il nostro peccato, frantumi le nostre paure
 e ci faccia vedere le tristezze, le malattie,
 i soprusi e perfino la morte, dal versante giusto: quello del “terzo giorno”.
Da lì le sofferenze del mondo non saranno più rantoli dell’agonia, ma i travagli del parto.
E le stigmate lasciate dai chiodi nelle nostre mani saranno le feritoie
attraverso le quali scorgeremo fin d’ora le luci di un mondo nuovo.

(Don Tonino Bello. Nel momento delle sue sofferenze fisiche)

Gravità dell'orgoglio e benefici delle imperfezioni.

        Ci si perdoni tante citazioni; ma il soggetto è così importante e delicato che esige forti autorità. D'altra parte, in tutti questi passi non troveremo neppur l'ombra dell'esagerazione, se mediteremo bene la tesi mirabilmente dimostrata nella Somma di San Tommaso (Questione 162, art. 6): “Per sua natura, secundum genus suum, la superbia è il peggiore dei peccati; più grave ancora dell'infedeltà, della disperazione, dell'omicidio, della lussuria, ecc.”. La ragione di questo, continua l'Angelo della scuola, sta nella sua avversione da Dio. Con gli altri peccati, l'uomo si allontana da Dio per ignoranza, per debolezza o per desiderio d'un bene qualunque; ma con la superbia se ne allontana unicamente perché non vuole sottomettersi a Dio e alla sua legge. Perciò, dice Boezio, mentre tutti i vizi fuggono Dio, solo la superbia tenta di resistergli in faccia. Donde le parole di S. Giacomo: Dio resiste ai superbi (Gc 4, 6).
        Così, l'allontanamento da Dio e dai suoi comandamenti, che negli altri peccati vien solo di conseguenza, nella superbia si trova in radice, perché l'atto suo proprio è il disprezzo di Dio. E siccome ciò che è male in sé, è peggiore di quello che è male solo per via di un'altra causa, ne segue che la superbia è, per sua natura, il più grave di tutti i peccati, perché tutti li sorpassa per l'allontanamento da Dio, che costituisce la loro malizia formale.
       “Se non ci è possibile acquistare molte virtù, diceva S. Giovanna di Chantal, abbiamo almeno quella dell'umiltà”. Orbene, è precisamente sul riconoscimento sincero della mancanza di virtù, ossia sulla nozione che le colpe ci danno .della nostra povertà spirituale e del nostro nulla, che noi potremo fondare l'umiltà, madre di tutte le altre virtù.
       Come, allora, non esclamare col nostro amabile Santo: “Care imperfezioni, che ci fanno conoscere la nostra miseria e ci esercitano nell'umiltà!” Come non ripetere: O felix culpa! o felice colpa! dopo ogni nostra caduta?
               “Forse che non vi rallegrereste, pur deplorandone i disastri, 'scrive una santa Figlia della Visitazione, se un'inondazione trasportasse sul vostro terreno delle pietre adattissime per fare da fondamento a un palazzo che intendete costruire? Ora, l'umiltà è chiamata fondamento della vita spirituale, perché Dio, che è il solo costruttore (Sal 126), non edificherà che sul vuoto che gli avremo scavato mediante la vera conoscenza di noi stessi” .

venerdì 1 aprile 2011

L’IMPORTANZA DEL DIGIUNO

Il numero di quaranta giorni previsto per la Quaresima non è stato stabilito dagli uomini, ma consacrato da Dio. Esso non è il risultato di considera­zioni terrene, ma è "ordinato dalla celeste Maestà". I richia­mi biblici al numero di "qua­ranta" sono molteplici, ma a noi inte­ressa guardare al Divin Modello, che ha digiunato nel deserto per quaranta giorni e quaranta notti. Questo sacro tempo di penitenza, vissuto dal Signore sulla terra, aveva la funzione di causa esemplare per noi, viatori in questa valle di lacrime, in continuo pericolo di peccare e deviare dal ret­to sentiero che conduce a Dio.
I Padri della Chiesa hanno espresso unani­memente e con diverse sfumature l'importanza del digiuno. Dice, ad esem­pio, san Pietro Crisologo: «Il digiuno è pace del corpo, forza delle menti, vigore delle anime»; e ancora: «Il digiuno è il timone della vita umana e regge l'intera nave del nostro corpo». Sant'Ambrogio risponde così alle eventuali obiezioni contro il digiuno: «La carne, per la sua condizione mortale, ha alcune sue concupiscen­ze proprie: nei loro confronti ti è sta­to concesso il diritto di freno. La tua carne è sotto di te: non seguire le sol­lecitazioni della carne fino alle cose illecite, ma frenale alquanto anche per quanto riguarda quelle lecite. Infatti, chi non si astiene da nessuna delle cose lecite, è prossimo pure a quelle illecite». In un sermone, san Giovanni Crisostomo parla di medi­cina del digiuno che "il nostro filantropico Signore, da Padre amorevole" esco­gitò per noi.
Siccome vo­lentieri l'uo­mo, dando libero sfogo alla sua natura, si lascia andare al piacere e non sa contenersi nella giu­sta misura, allora deve sempre torna­re a digiunare, per liberarsi interior­mente dagli assilli per le faccende di questo mondo e potersi rivolgere al­le cose spirituali. Cassiano ritiene che troppo cibo ottunde il cuore e, "se lo spirito ingrassa come il cor­po", allora attizza della "maligna esca per il peccato". Infatti - come spesso ripetevano gli antichi - molto cibo assopisce la vigilanza spirituale dell'uomo.
Questo principio ricorre di conti­nuo negli scritti dei primi monaci e dei Padri della Chiesa. Dice ad esempio sant'Atanasio: «Vedi dun­que cosa fa il digiuno! Guarisce le malattie, libera il corpo dalle sostan­ze superflue, scaccia gli spiriti mali­gni, espelle i cattivi pensieri, dà allo spirito una grande chiarezza, purifi­ca il cuore, spiritualizza il corpo, in una parola fa accedere l'uomo di­nanzi al trono di Dio... Grande forza è il digiuno, e porta a grandi vitto­rie!». Ma sant'Atanasio non si ferma solamente all'efficacia del digiuno sul corpo. Secondo lui, il digiuno scaccia gli spiriti maligni, espelle i cattivi pensieri e induce una maggio­re chiaroveggenza dello spirito. Purifica dunque corpo e anima insie­me, divenendo un mezzo ascetico di straordinaria efficacia.
Nei suoi sermoni, anche san Basilio Magno sottolinea di continuo l'efficacia salvifica del digiuno sul corpo e sull'anima. Rammenta come i medici prescrivano il digiuno ai malati e come un corpo che si con­tenta di un'alimentazione parca e leggera eviti le malattie meglio d'un altro che invece esagera in cibi pe­santi, di difficile assimilazione. Ne conclude che il digiuno è un'efficace medicina contro il peccato. Si de­v'esser contenti d'avere questo rime­dio per il peccato, e perciò con spiri­to lieto si deve digiunare, invece dì darne spettacolo per apparire grandi asceti dinanzi agli altri; altrimenti il digiuno non serve.
San Giovanni Climaco attribuisce al digiuno analoghi effetti: «Il digiu­no blocca il profluvio delle chiac­chiere, allevia l'inquietudine, favori­sce l'ubbidienza, rende gradevole il riposo, sana i corpi, placa gli animi».
Soltanto discordia proviene inve­ce dall'intemperanza, dall'imperver­sare delle passioni e degli istinti. Il digiuno obbliga l'uomo alla discipli­na, lo libera dal predominio delle sue passioni e così gli dà intima pace. Una pace che non è puramente spiri­tuale, ma anche dei corpi, come dice il Crisologo. Il corpo s'acquieta, sia perché non più sfiancato da pesanti digestioni, sia perché i suoi istinti vengono imbrigliati.Nei Padri della Chiesa il digiuno non è pura disciplina esteriore, un'opera di cui ingemmarsi davanti a Dio, ma un salutare esercizio, una benefica pratica che deve guidare tutto l'uomo - corpo e anima - al dominio delle passioni per avvici­narsi sempre più profondamente e meno indegnamente al suo "Ottimo Dio".

PICCOLO CATECHISMO SU L'ORA SANTA

Cha cosa è l'Ora Santa?

L'Ora Santa è un esercizio di ora­zione mentale o di preghiera vocale, che ha per oggetto l'agonia di Nostro Signore nell'Orto degli Olivi, allo sco­po di placare la collera divina, di impetrare misericordia per i peccatori: e di consolare il divin Salvatore. L'anima che compie questo devoto esercizio deve, di conseguenza, seguire Gesù nel Getsemani come i discepoli, immaginandosi che per favore speciale Egli la scelga insieme coi suoi tre più cari Apostoli, per renderla testimone degli acerbi dolori del suo Cuore, per associarla alla sua preghiera, per ren­derla partecipe del suo sacrificio, per onorarla della sua compagnia.

L'esercizio dell'Ora Santa é difficile ?

Il pio esercizio dell'Ora Santa non è punto difficile, tanto è vero che è praticato comunemente dalle anime veramente divote. Chi, infatti, non può con facilità ripensare ai patimenti di Gesù? Chi non sa compassionarlo con sentimenti di amore e di pietà? Per questo non si richiede dono di alta contemplazione, ma amorevolezza di cuore e volontà generosa. Del resto, all' anima che si presta docile alla gra­zia, la bontà infinita di Dio non lascia mancare lumi abbondanti alla mente ed efficaci eccitamenti al cuore. Di questo, chi ne fa la prova, resta subito convinto.

L'esercizio dell'Ora Santa riesce fruttuoso all'anima?

Certamente, ed è facile il persuader­sene. Infatti questo santo esercizio, a ben intenderlo, mira a farci entrare nelle disposizioni di Gesù in quell'a­gonia santissima: disposizioni di carità immensa verso gli uomini, di sottomis­sione illimitata al volere di Dio, di generoso sacrificio, di ardente amore. E cosa vi ha di più bello di questi sentimenti? E non germoglieranno essi da sè nell'anima che compie con buon volere l'esercizio dell'Ora Santa? Oh, di certo quest' anima esperimenterà quanto è buona cosa il tener compa­gnia a Gesù, il pregare con Gesù, l'a­gonizzare con Gesù. Gesù stesso disse una volta alla Beata Veronica, religiosa Agostiniana: «Io desidero che gli uomini prestino alla mia passione il culto di un dolore sincero e di una viva compassione per le mie sofferenze. Se versassero anche una sola lacrima, questa sarebbe mol­to, poichè lingua umana non può espri­mere la contentezza che mi dà questa sola lacrima». E tale contentezza Egli la riversa nel cuore che gliela fa provare; e questa lacrima amarissima sparsa sul­l'agonia di Gesù si tramuta per le anime pietose in una rugiada misterio­sa, che fa soavemente germogliare in esse i sentimenti più fruttuosi per lo spirito.

Come ebbe origine l'Ora Santa?

L'Ora Santa è un atto di riparazione di origine divina, poichè questo eser­cizio è stato domandato e poi insegna­to da Nostro Signore medesimo a S. Margherita Maria Alacoque, negli anni 1673-1674. Pregava un giorno questa santa da­vanti al Santissimo Sacramento esposto. Nostro Signore si presentò a lei tutto splendente di gloria; le scoprì il suo Cuore e si lamentò amaramente della ingratitudine di cui era oggetto da parte dei peccatori. Poi soggiunse: Tu, almeno, dammi la consolazione di supplire alle loro ingratitudini, per quanto potrai esserne capace. E Lui stesso indicò alla sua serva fedele i mezzi da adoperare, tra i quali l'Ora Santa, ed essa fu poi sempre fedele a questa pia pratica, ritraendo­ne particolari vantaggi spirituali.

Con quale spirito dov'esser fatta l' Ora Santa?Secondo le indicazioni date da No­stro Signore stesso a S. Margherita Alacoque, l'Ora Santa dev' esser fatta: 1° per calmare la collera divina; 2° per chiedere misericordia per i peccatori; 3° per riparare e compensare l' ab­bandono degli Apostoli, che non sep­pero vegliare neppur un'ora, mentre Gesù agonizzava. E siccome il culto del Sacro Cuore tende a ridestare e a far grandeggiare nell'anima l'amore di compassione e lo spirito di riparazione, così anche l' Ora Santa dovrà essere informata a questo amore compassionevole e ri­paratore.

TESTIMONIANZA SUL VOLTO SANTO

Desidero dare testimonianza di quanto segue.
Il 24 febbraio 2009 presso il Santuario di Guanzate (Co),dedicato alla Beata Vergine di S. Lorenzo, alla presenza di molti parrocchiani e numerosi devoti che lo frequentano, si è svolto per la prima volta un incontro durante il quale abbiamo contemplato il Santo Volto, con l'intenzione di chiedere altresì aiuto per meglio accostarci alla Quaresima che con il rito Ambrosiano è iniziata il 1° marzo. Sotto la protezione di Maria, mamma del nostro Gesù e la guida del diacono Don Pietro Zaffaroni, abbiamo recitato le suppliche al Santo Volto di Gesù davanti ad un immagine posta di fianco all'altare del SS. Sacramento ricevuta in dono dalla carissime Suore di Via Elba a Milano. Dopo una piccola pausa per una riflessione personale, è stata data lettura della breve storia della medaglia del S. Volto e della vita della Serva di Dio Madre M. Pierina De Micheli, Figlia dell'Immacolata Concezione di Buenos Aires terminando con quanto Nostro Signore le disse: " Voglio che il mio Volto, il quale riflette le pene intime del mio animo, il dolore e l'amore del Mio Cuore, sia più onorato. Chi mi contempla mi consola".
Al termine della celebrazione è stata benedetta e poi donata ad ogni partecipante una medaglia con il volto di Gesù promettendo di usarla come segno di pubblica testimonianza annunciando al mondo che solo Cristo dà la vera gioia che aiuta a superare i momenti di prova e di sofferenza.
L. G. M.

Serva di Dio sr. Consolata Betrone

Dal libretto "Trattatello della piccolissima via d'Amore"

"Amami tu per tutte e per ciascuna delle mie creatu­re, per tutti e per ciascun cuore che esiste. Ho tanta sete d'amore!
Sì, chiedi il perdono sulla povera umanità colpevole, chiedi su di essa il trionfo della mia misericordia, ma soprattutto chiedi su di essa l'incendio del divino amore, che qual novella Pentecoste redima l'umanità da tante sozzure.
Chiedi l'amore, il trionfo del mio amore per te e per ciascun'anima della terra, che ora esiste e che esisterà sino al termine dei secoli. Amami per tutte e, con la pre­ghiera e la tua immolazione, prepara nel mondo l'avven­to del mio amore.
Poiché hai sete di amarmi e di salvarmi anime, sta' in me sempre, non lasciarmi un istante, e porterai molto frutto.
Guarda S. Pietro: da solo aveva pescato tutta la notte e non aveva preso nulla; con me, appena gettate le reti, le ritirò piene di pesci. Così tu se stai in me, a ogni ispira­zione di mortificazione che ti invierò, tu, seguendola getterai la rete e io la tirerò su, piena di anime, che tu conoscerai solo quando sarai in Paradiso.
Solo in Paradiso conoscerai il valore e la fecondità dell'atto d'amore per salvare anime.
Ti piace la croce che ti ho donata? È fecondissima, sai! La croce d'amore è fecondissima più d'ogni altra croce, per me e per le anime.
Tu pensa solo più a me e alle anime: a me per amar­mi, alle anime per salvarle. Ho sete, sete di anime, per­ciò del tuo amore e del tuo dolore.
Senza sacrificio, senza la sofferenza fisica, spiritua­le, morale tu non salverai le anime. Un palpito incessan­te d'amore, sì, ed un palpito incessante di dolore per ot­tenere la conversione delle anime.Io, le anime, le ho salvate con un martirio di amore e di dolore, e così le salverai anche tu".

Gesù a Josepha

"Sì, questo è il giorno (giovedì santo 1923) in cui mi do alle anime, per essere ciò che vorranno che io sia: sarò loro padre se mi vogliono per padre... loro sposo se mi desiderano tale... mi farò loro forza se hanno bisogno di forza e, se aspirano a consolarmi, io mi lascerò conso­lare. L'unico mio desiderio è di darmi e di colmarle delle grazie che il mio cuore tiene loro preparate e che non può più contenere... ".