Il ruolo e la sofferenza della Chiesa durante la IIa Guerra Mondiale - Dalla grande tragedia che fu la Seconda Guerra Mondiale, con tutto il suo strascico di orrori contro l’umanità, emergono ormai sempre più chiaramente, tante belle figure di sacerdoti, religiosi, seminaristi, laici d’Azione Cattolica, che testimoniarono la loro fede cattolica e l’amore per i fratelli sofferenti in quella situazione, a qualunque parte i belligeranti appartenessero.
Oltre gli eroi, che giustamente sono stati riconosciuti e onorati dalle Nazioni in guerra, vi furono anche eroi più silenziosi, nascosti o rimasti a lungo trascurati nel ricordo ufficiale, ma che pur diedero la loro vita per la salvezza di altri, in virtù dell’amore totale verso Dio e di riflesso verso i fratelli nell’umanità; in molti casi pagarono con la vita, la loro fedeltà a Cristo ed alla Chiesa, denunciando e lottando contro la barbarie ideologica imperante.
E la Chiesa Cattolica, fu come sempre in prima fila, per la sua posizione di ricercatrice di pace, di avvocata dei deboli, di soccorritrice in ogni sofferenza, persecuzione, ingiustizia, si trovò sempre fra le opposte ideologie totalitarie e in senso pratico fra i contendenti, sia essi invasori ed oppressori, sia perdenti ed oppressi, anche quando i ruoli si invertirono, a seguito del capovolgersi delle situazioni di guerra e delle mutate condizioni politiche.
E da ambo le parti, i suoi figli e figlie consacrati e i fedeli impegnati in ogni campo dell’apostolato, subirono alternativamente persecuzioni, arresti, torture e morte violenta.
I martiri del tempo - La Chiesa, passata la disastrosa bufera e mettendo insieme notizie, testimonianze, scritti, verificando ed approvando virtù e miracoli ottenuti per la loro intercessione, ha provveduto ad elevare alla gloria degli altari o avviando le cause per la beatificazione, molti di questi suoi figli, martiri per la fede, uccisi con le armi o lasciati morire nei famigerati campi di sterminio.
Si citano alcuni: S. Massimiliano Maria Kolbe (1894-1941), frate conventuale francescano polacco; beato Giuseppe Kowalsky († 4 luglio 1942), salesiano polacco; santa Edith Stein (1891-1942), carmelitana olandese di origine ebrea; beato Tito Brandsma (1881-1942), carmelitano olandese; beato Marcello Callo (1921-1945), laico cattolico francese; beato Secondo Pollo (1908-1941), sacerdote italiano, cappellano degli Alpini; servo di Dio Salvo D’Acquisto (1920-1943), brigadiere dei carabinieri; servi di Dio Flavio Corrà (1917-1945) e Gedeone Corrà (1920-1945), fratelli veronesi, giovani d’Azione Cattolica; servo di Dio Gino Pistoni (1924-1944), partigiano d’Ivrea, giovane d’Azione Cattolica; servo di Dio Giuseppe Rossi (1912-1945), parroco di Castiglione d’Ossola; ecc.
La situazione in Italia - L’Italia fu particolarmente colpita dalle tragiche vicende, prima con l’affermarsi del regime fascista, con le leggi razziali, con la sciagurata alleanza col nazismo hitleriano, poi con la partecipazione alla II Guerra Mondiale, che tante vittime e distruzioni apportò al popolo italiano e infine con la perdita della guerra, il dissolvimento dell’esercito, l’invasione alleata con centinaia di bombardamenti, il ritiro delle truppe tedesche con stragi e rappresaglie sulla popolazione, la Repubblica di Salò nell’Alta Italia, il movimento della Resistenza, gli scontri sanguinosi tra fascisti, tedeschi e partigiani, la caduta definitiva del Fascismo, le vendette finali con migliaia di esecuzioni-omicidi.
È impossibile in questa limitata scheda, annoverare le vittime cattoliche innocenti o ritenute colpevoli da una delle parti contendenti, perché espletavano la carità di Cristo anche con gli appartenenti all’altra parte, oppure alzavano la voce in difesa di quanti subivano vendette, violenza e soprusi.
Il martirio della Chiesa Italiana - Ci furono vittime dei nazi-fascisti, come don Giuseppe Morosini (1913-1944), fucilato a Roma e don Pietro Pappagallo, ucciso alle Fosse Ardeatine († 24-3-1944), come i tanti parroci uccisi dai tedeschi insieme ai loro fedeli, a S. Anna di Stazzena, Boves, Marzabotto, ecc. e i tanti sacerdoti e parroci uccisi dei partigiani e militanti comunisti, anche oltre il 25 aprile 1945, come don Umberto Pessina, parroco di San Martino di Correggio († 18 giugno 1946).
In Emilia Romagna e soprattutto nel famigerato “Triangolo della morte” (Bologna, Modena, Reggio Emilia), perirono di morte violenta, vittime da ambo le parti, ben 93 sacerdoti e religiosi; la maggior parte a seguito delle vendette dei ‘rossi’ contro le ex ‘camicie nere’, fra i quali inclusero spesso anche le tonache nere, cioè i preti, a volte accusati di aver collaborato con il regime, oppure di aver aiutato qualche fascista fuggitivo.E in questo clima di strisciante Guerra Civile, bagnato dal sangue di migliaia di vittime delle vendette, s’inquadra la vicenda terrena e il martirio del quattordicenne seminarista Rolando Rivi, colpevole solo di indossare la veste talare in quel periodo di odio scatenato contro il clero, che alzava la voce a condannare in nome di Dio gli eccidi dell’immediato dopoguerra. (Tratto da: Santiebeati)
ROLANDO RIVI
Vivace, allegro, persino scanzonato. Chierichetto a cinque anni... Gesù-Ostia lo trasforma e gli fa nascere dentro un grande sogno. Poi, a 14 anni, sparge il sangue per Gesù.
Sulle alture tra il torrente Tresinaro e il fiume Secchia sorge il borgo di S. Valentino (Castellarano - Reggio Emilia), raccolto attorno all'antica chiesa. Qui, il 7 gennaio 1931, nella casa di Roberto Rivi e Albertina, agricoltori ricchi di fede, nacque un bambino. Battezzato, l'indomani, con il nome di Rolando, affidato alla Madonna, gli si aggiunge il nome di Maria. Un piccolo batuffolo di carne: Rolando Maria Rivi. Si dimostrò presto autosufficiente: imparò facilmente a camminare da solo e rifiutava di farsi portare in braccio, contento di muoversi, con le sue piccole gambe, per ogni dove. C'era vita cristiana molto intensa, in casa e nel borgo. Rolando crebbe respirando questo clima profumato di Dio.
Un meraviglioso bambino - Dai genitori imparò a conoscere Gesù e ad amarlo, intelligente, volitivo, felice. Era così vivace che la nonna diceva: "O diventerà un mascalzone o un santo". Il cuore l'aveva già grande e buono: non sopportava ingiustizie e il suo sorriso aperto si faceva perdonare subito le marachelle.
A sei anni andò a scuola. Incontrò maestra Clotilde, donna dalla Comunione quotidiana, preparata e tutta dedita alla sua missione. Rolando imparava a servire Messa al suo parroco don Olinto Marocchini, santo pastore pronto a dar la vita per la sua gente. In classe era dei primi, forse il migliore. Al catechismo ascoltava attento il parroco: era Dio che penetrava nel suo cuore e lo affascinava.
Il 16 giugno 1938, a sette anni appena, traboccante di gioia, Rolando ricevette Gesù nella Comunione per la prima volta: ora davvero era il suo intimo amico! Da quel giorno, guidato da don Olinto, imparò a vivere la vita con Gesù: quotidianamente andava in chiesa a trovare il suo Signore, a colloquiare a lungo, cuore a cuore con Lui.
I famigliari videro una trasformazione: sempre vivace, appariva però come abitato da una Presenza. La nonna ora diceva: "Guarda com'è cambiato Rolando!". Si fece ancor più luminoso, quando il 24 giugno 1940, da Mons. Brettoni, vescovo di Reggio Emilia, fu segnato con la Cresima: ora toccava a lui testimoniare Gesù, amarlo e farlo amare.
Cominciò ad accostarsi settimanalmente alla Confessione. Ogni mattina si alzava prestissimo per partecipare alla Messa, sempre con la Comunione. Gesù lo estasiava. Non perdeva nessuna lezione di catechismo, assetato di conoscere sempre più il Divino Maestro. Alla Messa, al catechismo portava i suoi compagni: "Vieni, Gesù ci aspetta, Gesù lo vuole". Il sacerdote all'altare, quando consacrava il Pane e il Vino, gli appariva grande da toccare il Cielo: perché non avrebbe potuto essere come lui?
Spesso alla porta di casa, si presentavano dei poveri. "Papà e mamma - diceva Rolando - vengo io a servirli". A chi gli faceva notare che aveva dato troppo, rispondeva: "La carità non impoverisce nessuno. Ogni povero è Gesù". Con i genitori era di una dolcezza senza limiti. Più che obbedirli, preveniva i loro desideri. I compagni per lui erano proprio dei fratelli: capiva le loro necessità, prima ancora di essere richiesto. Ai coetanei diceva: "Vuoi giocare?" E si giocava allegramente; poi: "andiamo tutti insieme da Gesù". E trascinava tutti presso il Tabernacolo.
Imparò ad amare la Madonna e ad affidarsi a Lei: "È la nostra mamma che pensa a tutto". Ogni giorno, per conto suo, la pregava con il Rosario. Alla sera prima di coricarsi, in ginocchio, presso il letto, un altro Rosario insieme con i suoi cari. Ogni sabato di maggio, con il parroco e i compagni, pellegrinava a piedi al vicino Santuario della Madonna di Campiano. Aveva una bella voce e cantava felice le lodi del Signore.
Finì le elementari in modo brillante. La maestra ricorda "i suoi occhi vivi, espressivi al massimo, cui non sfuggiva nulla, la sua intuizione immediata, la logica serrata dei suoi ragionamenti, la sua ottima memoria". Davvero "era cresciuto in età, sapienza e grazia", come Gesù (Lc 2,52).
Un cuore caldo d'amore, un'anima sonora: così era, a undici anni, Rolando Rivi.
Il piccolo chiamato - A contatto del Tabernacolo e del suo parroco, don Marocchini, maestro e modello di vita, Rolando decenne sentì la voce di Gesù: "Tu sei mio. Vieni". Lo disse in casa: "Voglio farmi prete per salvare tante anime. Poi partirò missionario per far conoscere Gesù". All'inizio d'ottobre 1942, entrò nel Seminario di Marola (Carpineti - Reggio Emilia).
Come allora si usava, vestì subito l'abito talare. Rolando ne fu orgoglioso e cominciò a portarlo con dignità e amore. Si distinse subito per lo studio, per la bontà verso tutti, per l'affezione grande al Cristo, che trapelava dalla sua gioia inesauribile, dalla sua preghiera prolungata davanti al Tabernacolo, dalla sua voglia di avvicinare chi era in difficoltà. Accettava i sacrifici, senza brontolare, con gioia, dicendo piano: "Tutto per Gesù che mi ama e mi vuole sacerdote".
I genitori gli portavano spesso cibo, frutta, dolci: lui rispondeva: "Grazie ... consegnerò tutto ai superiori per far condivisione con i compagni". Pensava soprattutto ai compagni poveri cui nessuno portava nulla. Quando qualche compagno criticava i superiori, lui taceva. Era spesso assorto in preghiera. Lo attraeva la musica ed entrò a far parte della corale. Cominciò a suonare l'harmonium e l'organo per rendere più belle e solenni le celebrazioni liturgiche.
Durante le vacanze, in famiglia a S. Valentino, obbediente in tutto al suo direttore spirituale, continuava a far vita da seminarista: la Messa e la Comunione quotidiana al mattino con la meditazione, lo studio, la visita a Gesù Eucaristico alla sera con il Rosario alla Madonna, sempre pronto a collaborare con il parroco. Anche in vacanza portava on orgoglio il suo abito religioso, spiegando: "È il segno che io sono di Gesù".
Suonava in chiesa l'harmonium e accompagnava i cantori tra i quali il suo ottimo papà, fiero di cantare con il suo "tesoro"che si preparava, più convinto e deciso che mai, a diventare un altro-Gesù nel sacerdozio. E poi continuava a cantare con il papà, quando andava in campagna, il Magnificat, la Salve Regina, le litanie della Madonna. Davvero una gioia stargli insieme: affascinava. Dotato di ascendente sui compagni, per loro organizzava i giochi e la preghiera, il servizio all'altare e il canto. Lo si vedeva spesso circondato da piccoli amici con i quali il discorso era caldo di luce e di amore. Voleva raccoglierli tutti intorno a Gesù, insegnar loro ad amarlo come Lui solo merita essere amato.
Il parroco spesso gli offriva di partecipare a pellegrinaggi: alla Madonna di S. Luca a Bologna, alla Madonna del Frassino sul lago di Garda, ad altri santuari mariani. Quando era in seminario, Rolando "si arrampicava" alla Madonna di Bismantova, citata da Dante nella Commedia (Purg.,4,26). La Madonna per lui era la Mamma cui affidava il suo futuro, i tempi difficili che viveva, la fine della guerra. La Madonna lo guidava alle vette.
Testimonia un suo compagno di Seminario, ora prete: "Rolando era vivace e svelto in tutti i giochi, a pallone e a pallavolo. Il campione della classe, della camerata. Attentissimo a scuola, molto studioso, esemplare, innamoratissimo di Gesù. Tutto in lui era superlativo. Si stava volentieri con lui: contagiava gioia ed ottimismo. Era l'immagine perfetta del ragazzo santo, ricco di ogni virtù, portata, nella vita
Finita la 2° media, nell'estate 1944, purtroppo il Seminario, occupato dai tedeschi, fu chiuso. Rolando tornò a S. Valentino e continuò a studiare da solo perché la meta gli era sempre davanti: diventare, senza perder tempo, un prete colto e santo.
Il sangue per Gesù - A casa, Rolando viveva da seminarista, come era solito, ma sempre più consapevole e convinto. Il momento storico era difficilissimo. Vi erano scorribande di tedeschi, fascisti e partigiani. Venne a sostituire il parroco un giovane cappellano. Don Alberto Camellini Rolando era attento a tutto: pregava per la pace e desiderava tornare presto in Seminario. Con i suoi amici seminaristi di S. Valentino diceva: "Quando sarò prete, partirò missionario a portare Gesù a quelli che non lo conoscono".
Un giorno, in una discussione in cui alcuni comunisti attaccavano ingiustamente la Chiesa e l'opera dei sacerdoti, Rolando difese a fronte alta il Cristo, la Chiesa e i sacerdoti! Non temeva né derisioni né insulti, segnato a dito per la sua fede e per il suo coraggio. Venne la primavera del 1945. Il 10 aprile, Rolando uscì di casa con un libro per studiare all'aperto, non lontano. Aveva ricevuto la Comunione quella mattina, come sempre indossava la sua veste nera. Alcuni partigiani comunisti lo sequestrarono. I genitori, non vedendolo tornare, lo cercarono subito e trovarono un biglietto: "Non cercatelo, viene un momento con noi partigiani". Il papà e il cappellano partirono alla sua ricerca.
I partigiani comunisti lo avevano portato nella loro "base". Qui, poiché "era un futuro ragno nero" (cioè un futuro prete), lo "processarono" come un colpevole (colpevole di seguire il Cristo!).
Lo spogliarono della veste talare, lo percossero con la cinghia sulle gambe, lo schiaffeggiarono, così come un giorno era stato fatto a Gesù (Mt 27,27-30). Poi emisero la sentenza: "Uccidiamolo, avremo un prete in meno". Lo portarono in un bosco, presso Piane di Monchio (Modena). Qui, scavata la fossa, mentre Rolando, in ginocchio, pregava il suo Gesù per sé, per i genitori, per gli stessi aguzzini, questi lo presero a calci, poi lo uccisero con due colpi di rivoltella, al cuore e alla fronte. Lo coprirono con pochi centimetri di terra. La veste da prete diventò nelle mani dei comunisti un pallone e poi fu appesa da loro come trofeo di scherno sotto il porticato di una fattoria vicina.
Aveva 14 anni. Era il 13 aprile 1945, venerdì, come quando Gesù s'immolò sulla croce (Gv 19,31). L'indomani il padre e il cappellano ritrovarono il suo corpo martoriato. Sepolto provvisoriamente a Monchio, un mese dopo tornava a S. Valentino in una bara bianca, tra la sua gente in lacrime, che guardava a lui come un piccolo angelo: Rolando Rivi, della razza di Tarcisio, Pancrazio, Agnese, dei ragazzi eroici sacrificati dai senza Dio in Russia, Messico e Spagna. Con la vita e con il sangue, anch'egli aveva dichiarato: "Quanto ho di più caro al mondo è il Cristo: Lui stesso e tutto ciò che viene da Lui!".
Sulla sua tomba i suoi scrissero: "Tu che dalle tenebre e dall'odio fosti spento, vivi nella luce e nella pace di Cristo". Dal 1997 Rolando riposa nella sua chiesa a S. Valentino e la sua tomba è diventata meta di pellegrinaggio e luogo di preghiera. Nel 2005 è iniziata la sua causa di beatificazione.
Ed oggi, Rolando, vivo nella gioia eterna, ottieni da Dio che tutti i ragazzi diventino amici di Cristo e che molti di loro prendano il tuo posto nel sacerdozio e consumino la vita per Lui e per la Chiesa. Solo ragazzi come te, saranno capaci oggi, di una nuova rivoluzione cristiana, davanti alla quale nessuno potrà chiudere gli occhi e tantomeno chiudere il cuore.
(Tratto da: “In braccio a Gesù” profili di ragazzi esemplari di Paolo Risso