venerdì 24 giugno 2011

Ti prego, àmati

Ti prego, àmati! Accogli te stesso con bontà! Te lo dico io, Gesù. Amati, guàrdati come io ti guardo, con gioia. Ricevi te stesso come persona, come spi­rito il cui valore costa il mio santissimo sangue. Consìderati dono, dono da mettere tutto così com'è al servizio. Amati! È importante! Allo specchio ammira i tuoi occhi a cui diedi la luce, aiutato da chi ti ge­nerò. Gioisci del tuo corpo, abitazione del mio Spi­rito, dal battesimo in poi. Sii contento del tuo no­me. Lo uso per chiamarti, per stringerti a me, per parlarti nella coscienza. Prendi la coscienza, tira fuori dal tuo tesoro (che ti ho consegnato) tutte le tue bel­lezze, capacità, doti, qualità, competenze. Ti ritro­verai immerso, sommerso. Esulta! Riconósciti gran­de, per mio merito. E poi abbraccia la tua storia in tutti i singoli momenti. È la tua storia, è la nostra storia, mia perché ti conducevo o ti attraevo, tua per­ché è la tua vita, sono le tue esperienze. Vedila nel­la sua realtà, senza manipolazioni o finzioni. Sii sin­cero con te stesso. Lodami per tanti positivi eventi. Chiedimi misericordia per le cose brutte. Ma pure accèttati, perdónati, àmati. Non punirti! Non esse­re spietato nel rinfacciarti le colpe. Sii generoso nel perdono! Cancella miserie, inadempienze, cadute. Guarisciti con la speranza.





Tutto io so trasformare in grazia, perfino il male più ripugnante. Non affliggerti! Fa' scendere sul tuo passato la mia compassione, la tenerezza di mia Ma­dre. Il futuro ti spalanchi la pace, la riconciliazione non solo con te, ma con tutti. Gioiello mio, dilata il tuo cuore pensando a te stesso. La tua preziosità immensa è fondata su di me che ti amo più di quan­to immagini. Ciao. Tuo unico Salvatore Gesù

mercoledì 22 giugno 2011

Sant'Agostino e l'Angelo

Agostino era dottissimo: aveva studiato i libri degli uomini più dotti dei tempi antichi. Un giorno mentre stava passeggiando sulla riva del mare, pensava a certi argomenti di cui doveva trattare sui suoi libri.
E, fra l'altro, pensava alla S.S. Trinità; si sforzava di comprendere un poco di questo mistero difficilissimo, per poterne dare delle spiegazioni.
Quand'ecco fu distratto da un graziosissimo bambino che sembrava assai affaccendato nell'attingere acqua dal mare con una conchiglia, e nel  versare ripetutamente quell'acqua entro una buca che aveva scavato nella sabbia.
Il Santo si fermò e domandò al bambino: - Che fai? Perchè ti affanni tanto a versar acqua in questa buca? –
E il bambino rispose: - Voglio svuotare il mare e versarne tutta  l'acqua in questa buca.
- Impossibile - esclamò Agostino sorridendo, - non vedi quanto è grande il mare? Come potrai tu far entrare quella immensa quantità di acqua in una buca cosi piccola?
Il Bambino guardò lungamente Agostino, fissandolo con uno sguardo significativo e penetrante, e poi aggiunse: - Io non posso svuotare il mare e farlo entrare in questa buca? E tu vuoi comprendere come è fatto Dio, che è infinitamente più grande del mare?... La tua intelligenza, in confronto alle infinite perfezioni di Dio, è più piccola del fosso, che io ho fatto sulla sabbia. Detto questo il bambino s'illuminò di una luce celeste... e disparve.
Era un angelo del Paradiso, che Dio aveva mandato al santo, per dargli un insegnamento tanto importante, e cioè che la nostra intelligenza è troppo limitata e non può comprendere la natura di Dio e le sue infinite perfezioni.
Le mani di Dio (Anonimo)
Un maestro viaggiava con un discepolo incaricato di occuparsi del cammello. Una sera, arrivati ad una locanda, il discepolo era talmente stanco che non legò l’animale.
“Mio Dio, pregò coricandosi, prenditi cura del cammello: te lo affido”.
Il mattino dopo il cammello era sparito. “Dov’è il cammello?” chiese il maestro.
“Non lo so”, rispose il discepolo. “Devi chiederlo a Dio! Ieri sera ero così sfinito che gli ho affidato il cammello. Non è certo colpa mia se è scappato o è stato rubato. Ho semplicemente domandato a Dio di sorvegliarlo. E’ Lui il responsabile. Tu mi esorti sempre ad avere la massima fiducia in Dio, no?”
“Abbi la più grande fiducia in Dio, ma prima lega il tuo cammello”, rispose il maestro. “Perché Dio non ha altre mani che le tue”.
Dio solo può dare la fede;
tu, però, puoi dare la tua testimonianza.
Dio solo può dare la speranza;
tu, però, puoi infondere fiducia nei fratelli.
Dio solo può dare l’amore;
tu, però, puoi insegnare all’altro ad amare.
Dio solo può dare la pace;
tu, però, puoi seminare l’unione.
Dio solo può dare la forza;
tu, però, puoi dare sostegno a uno scoraggiato.
Dio solo è la via;
tu, però, puoi indicarla agli altri.
Dio solo è la luce;
tu, però, puoi farla brillare negli occhi di tutti.
Dio solo è la vita;
tu, però, puoi far rinascere negli altri il desiderio di vivere.
Dio solo può fare ciò che appare impossibile;
tu, però, potrai fare il possibile.
Dio solo basta a se stesso;
egli, però, preferisce contare su di te.».

Imparare ad amare

Imparare ad amare

Un uomo, che si sentiva orgoglioso del verde tappeto del suo giardino, un brutto giorno scoprì che il suo bel prato era infestato da una grande quantità di "denti di leone". Cercò con tutti i mezzi di liberarsene, ma non poté impedire che divenissero una vera piaga.

Alla fine si decise di scrivere al ministero dell'Agricoltura, riferendo tutti gli sforzi che aveva fatto, e concluse la lettera chiedendo: "Che cosa posso fare?".

Giunse la risposta: "Le suggeriamo d'imparare ad amarli".

Morale: Autentica piaga é per una persona non accettare gli avvenimenti, non amare tutto ciò che c'é nel suo giardino. Se non si può averla vinta con tanti "denti di leone" che esistono, è necessario apprendere una nuova tecnica: quella dell'amore. Imparare ad amare non è per nulla facile, poiché bisogna perdere, impiegare molto tempo per ascoltare gli altri: piante, animali, persone.

Il vivere in comunità, é come essere piantato in un giardino. In essa ci sono ogni specie di fiori, piante... Alcuni fioriscono più degli altri; alcuni in un tempo, altri più tardi. Ci sono addirittura piante che non fioriscono mai. Però tutte hanno una funzione, una missione.

I primi cristiani erano di "un cuor solo ed un'anima sola, e nessuno riteneva niente come proprio, anzi tutto era di tutti" (Atti, 4,32).

Si distinguevano da coloro che non erano cristiani per il solo fatto d'aver appreso ad amare e di crescere nell'amore.

Dei primi cristiani affermava Diogneto: "Amano tutti e da tutti sono perseguitati. .. Sono poveri, ma arricchiscono tutti. Sono privi d'ogni cosa, ma abbondano in tutto... Li caricano di vituperi, e loro li benedicono.. . Li si ingiuria e loro onorano. Si comportano bene e sono castigati come malfattori. Condannati a morte, si rallegrano come se fosse loro donata la vita".

Il figlio più saggio

Molto tempo fa c’era un uomo che aveva tre figli ai quali voleva molto bene. Non era nato ricco, ma con la sua saggezza e il duro lavoro era riuscito a risparmiare un bel po’ di soldi e a comprare un fertile podere. Divenuto vecchio cominciò a pensare a come dividere tra i suoi figli ciò che possedeva. Un giorno decise di fare una prova per capire quale tra i suoi figli fosse il più saggio. Li chiamò al capezzale e diede a ciascuno cinque soldi e chiese loro di comperare qualcosa che riempisse la sua stanza che era vuota e spoglia. Ciascuno dei figli prese il denaro e uscì per esaudire i desideri del padre. Il figlio più grande pensò che era un lavoro facile. Andò al mercato e comperò la prima cosa che gli capitò sotto gli occhi: un fascio di paglia.

Il secondo pensò per qualche minuto, poi girò tutte le bancarelle del mercato e alla fine comperò delle bellissime piume. Il figlio più piccolo riflette a lungo sul problema e si chiedeva: “ Che cosa c’è che costa solo cinque soldi e che può riempire una stanza?”. Solo dopo aver pensato per un bel po’ di tempo trovò quel che faceva a suo caso e il suo volto si illuminò. Andò in un piccolo negozio e comperò con i suoi cinque soldi una candela e dei fiammiferi. Tornando a casa felice e si domandava cosa avessero comperato i suoi due fratelli. Il giorno seguente, i tre fratelli si presentarono al padre. Ognuno portò il suo regalo. Il più grande sparse la paglia sul pavimento, ma era cosi poca che fu appena sufficiente per coprire un angolo. Il secondo mostro le sue piume, ma riempirono appena due angoli. Il padre era molto deluso dei suoi due figli maggiori. Allora si rivolse al più piccolo: “E tu cosa hai comprato?”. Il ragazzo accese la candela con un fiammifero e la luce di quell’unica fiamma si diffuse per la stanza e la riempi. Tutti sorrisero. Il vecchio padre fu felice del regalo del figlio più piccolo. Gli diede tutti i suoi averi, perché aveva capito che quel ragazzo era abbastanza intelligente per farne buon uso ed avere cura dei suoi fratelli.

Due pesi e una misura (Da Feste e racconti Ebraici, di Colette Estin)

In Libano, c’erano una volta due vicine: una era molto povera; il marito faceva il giro dei mercati, ma non guadagnava un soldo. L’altra era ricca, ma non era mai contenta: si lamentava continuamente della sua sorte e del suo amaro destino. La Pasqua era ormai prossima. Nella casa della povertà non c’era niente, eppure nel cuore della donna restava una speranza. Decise di prendere i vestiti di tutti i bambini, di scendere al fiume e fare il bucato.

Cosi, almeno i bambini avrebbero indossato vestiti puliti per la festa. Si siede sul bordo del fiume, lava e lava, e le sue lacrime si uniscono alla schiuma del sapone. Ad un tratto, scorge accanto a sé un vegliardo, dal volto pieno di compassione: “che cosa ti è accaduto, mia povera donna? Ti manca forse qualcosa?”.

La donna si affrettò a rispondergli che non le mancava niente, solo che le era entrata negli occhi dell’acqua insaponata e per questo piangeva.

“Hai tutto pronto per la festa?”.

"Si".

“Hai pane e vino?”:

"Sicuro!"

“Le candele e la tovaglia sono pronte?”

"Ma certo!"

“Se le cose stanno cosi, arrivederci, e buona festa!”.

Il giorno dopo, la donna ricca scese al fiume a fare il bucato, brontolando sul duro lavoro che precede la Pasqua. Ad un tratto, anche lei si accorse che aveva accanto un vecchio, che le pose le stesse domande che aveva poste il giorno prima all’altra donna.

A tutte le domande la donna rispose con furore e amarezza: "Niente!"

Non aveva preparato niente, non aveva niente, e la sfortuna perseguitava suo marito.

L’uomo augurò anche a lei una buona festa e scomparve.

La sera della festa, non c’era niente nella casa della povertà.

La tavola era vuota e la stanza era buia. I bambini erano affamati, ma indossavano abiti puliti, e la tovaglia era candida.

Dalla donna ricca invece c’erano molte cose sul tavolo, ma sui volti dei commensali non si notava nessuna gioia: le loro bocche erano piene di lamentele.

Comparve in strada il vegliardo dalla barba bianca.

Con il suo bastone bussò alla porta della donna ricca e annunciò: “Quel che hai detto sulla riva del fiume si avveri!”.

Poi bussò alla porta dell’altra donna e disse: “Quel che hai detto sulla riva del fiume si avveri!”.

Ed ecco che la tavola si riempì di cibi prelibati, lampade d’argento che pendevano dal soffitto e la casa fu piena di gioia, di allegria e di canti festosi.

La donna volle ringraziare il misterioso uomo, ma era già sparito.

Capì che non era altri che il profeta Elia, che il suo ricordo ci sia di benedizione.

martedì 21 giugno 2011

LA VITA CRISTIANA

Essere cristiani significa:
- Amare Dio e il prossimo, ogni prossimo.
- Frequentare i sacramenti: confessarsi almeno una volta al mese e ogni volta che si pensa di aver commesso una colpa grave; comunicarsi almeno ogni domenica partecipando alla santa Messa.
- Recitare il santo rosario alla Madonna - è un'arma di salvezza importantissima - ogni gior­no. Un quarto d'ora ci deve ben essere per la nostra Mamma celeste.
- Combattere ogni ipocrisia e menzogna. Esse­re sinceri e presentarsi nelle idee e nei fatti come si è, in verità.
- Non giudicare e non condannare nessuno, non parlare e non pensare male, non fare del male a nessuno, al contrario apprezzare e pensare bene di tutti.
- Essere onesti sul lavoro e con le leggi dello sta­to, da cittadini esemplari.
- Obbedire alla dottrina della Chiesa, agli inse­gnamenti del papa e della gerarchia.
Essere casti cioè rispettosi dell'alto significato del corpo e del sesso, combattendo ogni impurità che turba il cuore.
- Formarsi una buona e sana coscienza, e ascol­tarla sempre come voce di Dio.
- Avere fiducia nella misericordia di Dio senza mai disperare. La disperazione è la vittoria di Sata­na. Il peccato più grosso che si può fare è un mosce­rino di fronte al perdono senza limiti di Dio.
- Aiutare e servire il prossimo come e quanto più è possibile secondo le forze.
- Perdonare chi ci fa del male, come Dio perdo­na noi. Cercare di essere in pace con tutti.
- Ricordare che siamo pellegrini sulla terra e la nostra vera patria è il cielo, faccia a faccia con Dio per l'eternità nell'amore.
- Accettare di essere criticati e di essere aiutati e corretti per migliorare e crescere nelle virtù. - Essere pazienti, miti, mansueti nelle prove e nelle sofferenze, nelle incomprensioni e nella malattia fisica, pensando a ciò che Gesù ha patito, lui che era senza colpa. Noi siamo colpevoli e dobbiamo fa­re penitenza.
- Avere nel cuore sempre una spinta a pregare di più, sempre di più.
- Fare penitenza: la più grande penitenza è quella di essere umili e puri, di essere immacolati coi no­stri sensi, coi nostri occhi, mani, bocca, sessualità e soprattutto coi pensieri, contro Satana.
- Avere tanta gioia di essere cristiani da voler comunicare agli altri il vangelo, da voler aiutare i di­sperati, i lontani, gli atei, i poveri, i più indifesi, i più emarginati, tutti.
- Avere il cuore distaccato dai soldi, dalle cose, dagli affanni e vivere nella libertà, pur assumendosi le proprie responsabilità della vita e contribuendo a rendere migliore questo mondo.
- Ritenersi così piccoli e miseri e così indegni della bontà di Dio, da considerare tutto dono e gra­zia sua, senza attribuire nulla al proprio io e rife­rendo tutto a Dio.
- Essere pronti a testimoniare la fede fino al mar­tirio, al dono della vita.
- Essere sempre pronti a morire nel totale ab­bandono a Dio, ben sapendo che la morte può co­glierci all'improvviso.

Servo di Dio ROLANDO RIVI Seminarista, adolescente, martire

Il ruolo e la sofferenza della Chiesa durante la IIa Guerra Mondiale - Dalla grande tragedia che fu la Seconda Guerra Mondiale, con tutto il suo strascico di orrori contro l’umanità, emergono ormai sempre più chiaramente, tante belle figure di sacerdoti, religiosi, seminaristi, laici d’Azione Cattolica, che testimoniarono la loro fede cattolica e l’amore per i fratelli sofferenti in quella situazione, a qualunque parte i belligeranti appartenessero.
Oltre gli eroi, che giustamente sono stati riconosciuti e onorati dalle Nazioni in guerra, vi furono anche eroi più silenziosi, nascosti o rimasti a lungo trascurati nel ricordo ufficiale, ma che pur diedero la loro vita per la salvezza di altri, in virtù dell’amore totale verso Dio e di riflesso verso i fratelli nell’umanità; in molti casi pagarono con la vita, la loro fedeltà a Cristo ed alla Chiesa, denunciando e lottando contro la barbarie ideologica imperante.
E la Chiesa Cattolica, fu come sempre in prima fila, per la sua posizione di ricercatrice di pace, di avvocata dei deboli, di soccorritrice in ogni sofferenza, persecuzione, ingiustizia, si trovò sempre fra le opposte ideologie totalitarie e in senso pratico fra i contendenti, sia essi invasori ed oppressori, sia perdenti ed oppressi, anche quando i ruoli si invertirono, a seguito del capovolgersi delle situazioni di guerra e delle mutate condizioni politiche.
E da ambo le parti, i suoi figli e figlie consacrati e i fedeli impegnati in ogni campo dell’apostolato, subirono alternativamente persecuzioni, arresti, torture e morte violenta.
I martiri del tempo - La Chiesa, passata la disastrosa bufera e mettendo insieme notizie, testimonianze, scritti, verificando ed approvando virtù e miracoli ottenuti per la loro intercessione, ha provveduto ad elevare alla gloria degli altari o avviando le cause per la beatificazione, molti di questi suoi figli, martiri per la fede, uccisi con le armi o lasciati morire nei famigerati campi di sterminio.
Si citano alcuni: S. Massimiliano Maria Kolbe (1894-1941), frate conventuale francescano polacco; beato Giuseppe Kowalsky († 4 luglio 1942), salesiano polacco; santa Edith Stein (1891-1942), carmelitana olandese di origine ebrea; beato Tito Brandsma (1881-1942), carmelitano olandese; beato Marcello Callo (1921-1945), laico cattolico francese; beato Secondo Pollo (1908-1941), sacerdote italiano, cappellano degli Alpini; servo di Dio Salvo D’Acquisto (1920-1943), brigadiere dei carabinieri; servi di Dio Flavio Corrà (1917-1945) e Gedeone Corrà (1920-1945), fratelli veronesi, giovani d’Azione Cattolica; servo di Dio Gino Pistoni (1924-1944), partigiano d’Ivrea, giovane d’Azione Cattolica; servo di Dio Giuseppe Rossi (1912-1945), parroco di Castiglione d’Ossola; ecc.
La situazione in Italia - L’Italia fu particolarmente colpita dalle tragiche vicende, prima con l’affermarsi del regime fascista, con le leggi razziali, con la sciagurata alleanza col nazismo hitleriano, poi con la partecipazione alla II Guerra Mondiale, che tante vittime e distruzioni apportò al popolo italiano e infine con la perdita della guerra, il dissolvimento dell’esercito, l’invasione alleata con centinaia di bombardamenti, il ritiro delle truppe tedesche con stragi e rappresaglie sulla popolazione, la Repubblica di Salò nell’Alta Italia, il movimento della Resistenza, gli scontri sanguinosi tra fascisti, tedeschi e partigiani, la caduta definitiva del Fascismo, le vendette finali con migliaia di esecuzioni-omicidi.
È impossibile in questa limitata scheda, annoverare le vittime cattoliche innocenti o ritenute colpevoli da una delle parti contendenti, perché espletavano la carità di Cristo anche con gli appartenenti all’altra parte, oppure alzavano la voce in difesa di quanti subivano vendette, violenza e soprusi.
Il martirio della Chiesa Italiana - Ci furono vittime dei nazi-fascisti, come don Giuseppe Morosini (1913-1944), fucilato a Roma e don Pietro Pappagallo, ucciso alle Fosse Ardeatine († 24-3-1944), come i tanti parroci uccisi dai tedeschi insieme ai loro fedeli, a S. Anna di Stazzena, Boves, Marzabotto, ecc. e i tanti sacerdoti e parroci uccisi dei partigiani e militanti comunisti, anche oltre il 25 aprile 1945, come don Umberto Pessina, parroco di San Martino di Correggio († 18 giugno 1946).
In Emilia Romagna e soprattutto nel famigerato “Triangolo della morte” (Bologna, Modena, Reggio Emilia), perirono di morte violenta, vittime da ambo le parti, ben 93 sacerdoti e religiosi; la maggior parte a seguito delle vendette dei ‘rossi’ contro le ex ‘camicie nere’, fra i quali inclusero spesso anche le tonache nere, cioè i preti, a volte accusati di aver collaborato con il regime, oppure di aver aiutato qualche fascista fuggitivo.E in questo clima di strisciante Guerra Civile, bagnato dal sangue di migliaia di vittime delle vendette, s’inquadra la vicenda terrena e il martirio del quattordicenne seminarista Rolando Rivi, colpevole solo di indossare la veste talare in quel periodo di odio scatenato contro il clero, che alzava la voce a condannare in nome di Dio gli eccidi dell’immediato dopoguerra. (Tratto da: Santiebeati)
 
ROLANDO RIVI
Vivace, allegro, persino scanzonato. Chierichetto a cinque anni... Gesù-Ostia lo trasforma e gli fa nascere dentro un grande sogno. Poi, a 14 anni, sparge il sangue per Gesù.
Sulle alture tra il torrente Tresinaro e il fiume Secchia sorge il borgo di S. Valentino (Castellarano - Reggio Emilia), raccolto attorno all'antica chiesa. Qui, il 7 gennaio 1931, nella casa di Roberto Rivi e Albertina, agricoltori ricchi di fede, nacque un bambi­no. Battezzato, l'indomani, con il nome di Rolando, affidato alla Madonna, gli si aggiunge il nome di Maria. Un piccolo batuffolo di carne: Rolando Maria Rivi. Si dimostrò presto autosufficiente: imparò facil­mente a camminare da solo e rifiutava di farsi portare in braccio, contento di muoversi, con le sue piccole gambe, per ogni dove. C'era vita cristiana molto in­tensa, in casa e nel borgo. Rolando crebbe respirando questo clima profumato di Dio.
Un meraviglioso bambino - Dai genitori imparò a conoscere Gesù e ad amar­lo, intelligente, volitivo, felice. Era così vivace che la nonna diceva: "O diventerà un mascalzone o un san­to". Il cuore l'aveva già grande e buono: non soppor­tava ingiustizie e il suo sorriso aperto si faceva perdo­nare subito le marachelle.
A sei anni andò a scuola. Incontrò maestra Clotilde, donna dalla Comunione quotidiana, prepara­ta e tutta dedita alla sua missione. Rolando imparava a servire Messa al suo parroco don Olinto Marocchini, santo pastore pronto a dar la vita per la sua gente. In classe era dei primi, forse il migliore. Al catechismo ascoltava attento il parroco: era Dio che penetrava nel suo cuore e lo affascinava.
Il 16 giugno 1938, a sette anni appena, traboccan­te di gioia, Rolando ricevette Gesù nella Comunione per la prima volta: ora davvero era il suo intimo ami­co! Da quel giorno, guidato da don Olinto, imparò a vivere la vita con Gesù: quotidianamente andava in chiesa a trovare il suo Signore, a colloquiare a lungo, cuore a cuore con Lui.
I famigliari videro una trasformazione: sempre vi­vace, appariva però come abitato da una Presenza. La nonna ora diceva: "Guarda com'è cambiato Rolando!". Si fece ancor più luminoso, quando il 24 giugno 1940, da Mons. Brettoni, vescovo di Reggio Emilia, fu segnato con la Cresima: ora toccava a lui testimoniare Gesù, amarlo e farlo amare.
Cominciò ad accostarsi settimanalmente alla Confessione. Ogni mattina si alzava prestissimo per partecipare alla Messa, sempre con la Comunione. Gesù lo estasiava. Non perdeva nessuna lezione di ca­techismo, assetato di conoscere sempre più il Divino Maestro. Alla Messa, al catechismo portava i suoi compagni: "Vieni, Gesù ci aspetta, Gesù lo vuole". Il sacerdote all'altare, quando consacrava il Pane e il Vino, gli appariva grande da toccare il Cielo: perché non avrebbe potuto essere come lui?
Spesso alla porta di casa, si presentavano dei po­veri. "Papà e mamma - diceva Rolando - vengo io a servirli". A chi gli faceva notare che aveva dato trop­po, rispondeva: "La carità non impoverisce nessuno. Ogni povero è Gesù". Con i genitori era di una dol­cezza senza limiti. Più che obbedirli, preveniva i loro desideri. I compagni per lui erano proprio dei fratelli: capiva le loro necessità, prima ancora di essere richie­sto. Ai coetanei diceva: "Vuoi giocare?" E si giocava allegramente; poi: "andiamo tutti insieme da Gesù". E trascinava tutti presso il Tabernacolo.
Imparò ad amare la Madonna e ad affidarsi a Lei: "È la nostra mamma che pensa a tutto". Ogni giorno, per conto suo, la pregava con il Rosario. Alla sera prima di coricarsi, in ginocchio, presso il letto, un altro Rosario insieme con i suoi cari. Ogni sabato di maggio, con il parroco e i compagni, pellegrinava a piedi al vi­cino Santuario della Madonna di Campiano. Aveva una bella voce e cantava felice le lodi del Signore.
Finì le elementari in modo brillante. La maestra ricorda "i suoi occhi vivi, espressivi al massimo, cui non sfuggiva nulla, la sua intuizione immediata, la lo­gica serrata dei suoi ragionamenti, la sua ottima me­moria". Davvero "era cresciuto in età, sapienza e gra­zia", come Gesù (Lc 2,52).
Un cuore caldo d'amore, un'anima sonora: così era, a undici anni, Rolando Rivi.
Il piccolo chiamato - A contatto del Tabernacolo e del suo parroco, don Marocchini, maestro e modello di vita, Rolando de­cenne sentì la voce di Gesù: "Tu sei mio. Vieni". Lo disse in casa: "Voglio farmi prete per salvare tante anime. Poi partirò missionario per far conoscere Gesù". All'inizio d'ottobre 1942, entrò nel Seminario di Marola (Carpineti - Reggio Emilia).
Come allora si usava, vestì subito l'abito talare. Rolando ne fu orgoglioso e cominciò a portarlo con dignità e amore. Si distinse subito per lo studio, per la bontà verso tutti, per l'affezione grande al Cristo, che trapelava dalla sua gioia inesauribile, dalla sua pre­ghiera prolungata davanti al Tabernacolo, dalla sua voglia di avvicinare chi era in difficoltà. Accettava i sacrifici, senza brontolare, con gioia, dicendo piano: "Tutto per Gesù che mi ama e mi vuole sacerdote".
I genitori gli portavano spesso cibo, frutta, dolci: lui rispondeva: "Grazie ... consegnerò tutto ai superio­ri per far condivisione con i compagni". Pensava so­prattutto ai compagni poveri cui nessuno portava nul­la. Quando qualche compagno criticava i superiori, lui taceva. Era spesso assorto in preghiera. Lo attraeva la musica ed entrò a far parte della corale. Cominciò a suonare l'harmonium e l'organo per rendere più belle e solenni le celebrazioni liturgiche.
Durante le vacanze, in famiglia a S. Valentino, ob­bediente in tutto al suo direttore spirituale, continuava a far vita da seminarista: la Messa e la Comunione quotidiana al mattino con la meditazione, lo studio, la visita a Gesù Eucaristico alla sera con il Rosario alla Madonna, sempre pronto a collaborare con il parroco. Anche in vacanza portava on orgoglio il suo abito re­ligioso, spiegando: "È il segno che io sono di Gesù".
Suonava in chiesa l'harmonium e accompagnava i cantori tra i quali il suo ottimo papà, fiero di cantare con il suo "tesoro"che si preparava, più convinto e deciso che mai, a diventare un altro-Gesù nel sacerdozio. E poi continuava a cantare con il papà, quando andava in cam­pagna, il Magnificat, la Salve Regina, le litanie della Madonna. Davvero una gioia stargli insieme: affascina­va. Dotato di ascendente sui compagni, per loro orga­nizzava i giochi e la preghiera, il servizio all'altare e il canto. Lo si vedeva spesso circondato da piccoli amici con i quali il discorso era caldo di luce e di amore. Voleva raccoglierli tutti intorno a Gesù, insegnar loro ad amarlo come Lui solo merita essere amato.
Il parroco spesso gli offriva di partecipare a pelle­grinaggi: alla Madonna di S. Luca a Bologna, alla Madonna del Frassino sul lago di Garda, ad altri san­tuari mariani. Quando era in seminario, Rolando "si arrampicava" alla Madonna di Bismantova, citata da Dante nella Commedia (Purg.,4,26). La Madonna per lui era la Mamma cui affidava il suo futuro, i tempi difficili che viveva, la fine della guerra. La Madonna lo guidava alle vette.
Testimonia un suo compagno di Seminario, ora prete: "Rolando era vivace e svelto in tutti i giochi, a pallone e a pallavolo. Il campione della classe, della camerata. Attentissimo a scuola, molto studioso, esemplare, innamoratissimo di Gesù. Tutto in lui era superlativo. Si stava volentieri con lui: contagiava gioia ed ottimismo. Era l'immagine perfetta del ra­gazzo santo, ricco di ogni virtù, portata, nella vita
Finita la 2° media, nell'estate 1944, purtroppo il Seminario, occupato dai tedeschi, fu chiuso. Rolando tornò a S. Valentino e continuò a studiare da solo per­ché la meta gli era sempre davanti: diventare, senza perder tempo, un prete colto e santo.
Il sangue per Gesù - A casa, Rolando viveva da seminarista, come era solito, ma sempre più consapevole e convinto. Il mo­mento storico era difficilissimo. Vi erano scorribande di tedeschi, fascisti e partigiani. Venne a sostituire il parroco un giovane cappellano. Don Alberto Camellini Rolando era attento a tutto: pregava per la pace e desiderava tornare presto in Seminario. Con i suoi amici seminaristi di S. Valentino diceva: "Quando sarò prete, partirò missionario a portare Gesù a quelli che non lo conoscono".
Un giorno, in una discussione in cui alcuni comu­nisti attaccavano ingiustamente la Chiesa e l'opera dei sacerdoti, Rolando difese a fronte alta il Cristo, la Chiesa e i sacerdoti! Non temeva né derisioni né insul­ti, segnato a dito per la sua fede e per il suo coraggio. Venne la primavera del 1945. Il 10 aprile, Rolando uscì di casa con un libro per studiare all'a­perto, non lontano. Aveva ricevuto la Comunione quella mattina, come sempre indossava la sua veste nera. Alcuni partigiani comunisti lo sequestrarono. I genitori, non vedendolo tornare, lo cercarono subito e trovarono un biglietto: "Non cercatelo, viene un mo­mento con noi partigiani". Il papà e il cappellano par­tirono alla sua ricerca.
I partigiani comunisti lo avevano portato nella lo­ro "base". Qui, poiché "era un futuro ragno nero" (cioè un futuro prete), lo "processarono" come un col­pevole (colpevole di seguire il Cristo!).
Lo spogliarono della veste talare, lo percossero con la cinghia sulle gambe, lo schiaffeggiarono, così come un giorno era stato fatto a Gesù (Mt 27,27-30). Poi emisero la sentenza: "Uccidiamolo, avremo un prete in meno". Lo portarono in un bosco, presso Piane di Monchio (Modena). Qui, scavata la fossa, mentre Rolando, in ginocchio, pregava il suo Gesù per sé, per i genitori, per gli stessi aguzzini, questi lo presero a cal­ci, poi lo uccisero con due colpi di rivoltella, al cuore e alla fronte. Lo coprirono con pochi centimetri di terra. La veste da prete diventò nelle mani dei comunisti un pallone e poi fu appesa da loro come trofeo di scherno sotto il porticato di una fattoria vicina.
Aveva 14 anni. Era il 13 aprile 1945, venerdì, co­me quando Gesù s'immolò sulla croce (Gv 19,31). L'indomani il padre e il cappellano ritrovarono il suo corpo martoriato. Sepolto provvisoriamente a Monchio, un mese dopo tornava a S. Valentino in una bara bianca, tra la sua gente in lacrime, che guardava a lui come un piccolo angelo: Rolando Rivi, della raz­za di Tarcisio, Pancrazio, Agnese, dei ragazzi eroici sacrificati dai senza Dio in Russia, Messico e Spagna. Con la vita e con il sangue, anch'egli aveva dichiara­to: "Quanto ho di più caro al mondo è il Cristo: Lui stesso e tutto ciò che viene da Lui!".
Sulla sua tomba i suoi scrissero: "Tu che dalle te­nebre e dall'odio fosti spento, vivi nella luce e nella pace di Cristo". Dal 1997 Rolando riposa nella sua chiesa a S. Valentino e la sua tomba è diventata meta di pellegrinaggio e luogo di preghiera. Nel 2005 è ini­ziata la sua causa di beatificazione.
Ed oggi, Rolando, vivo nella gioia eterna, ottieni da Dio che tutti i ragazzi diventino amici di Cristo e che molti di loro prendano il tuo posto nel sacerdozio e consumino la vita per Lui e per la Chiesa. Solo ra­gazzi come te, saranno capaci oggi, di una nuova ri­voluzione cristiana, davanti alla quale nessuno potrà chiudere gli occhi e tantomeno chiudere il cuore.
(Tratto da: “In braccio a Gesù” profili di ragazzi esemplari di Paolo Risso

ERMANNO WIJNS (10 anni)

Ancora assai piccolo scopre che la S. Messa è il Tesoro più prezioso che esista sulla terra per dono di Cristo. Vive solo per poter celebrare un giorno la S. Messa, diventato sacerdote di Dio.

Ermanno Wijns, nato il 15 marzo 1931, a Merksen presso Anversa in Belgio, è figlio di un com­merciante grazie al quale la famiglia gode, per il mo­mento di un certo benessere. Dai suoi genitori, il pic­colo impara a pregare mattino e sera, a partecipare al­la Messa ogni domenica e a voler bene a tutti. Un giorno, rientrato a casa dai suoi giochi, vede il papà che sta sgranando il Rosario alla Madonna: "Voglio anch'io pregare come te - gli dice - che cosa aspetti a insegnarmi?". Da qual momento, pregherà anche lui con la corona tra le mani.

Ha appena cinque anni, ma è assai intelligente e possiede una memoria formidabile, per cui i suoi ge­nitori lo iscrivono subito alla scuola elementare tenu­ta da buoni religiosi. Quelli, vedendolo troppo picco­lo, lo sottopongono a un esame, ma lui li stupisce con la sua preparazione. Così, più allegro che mai, comin­cia a frequentare, un anno prima degli altri, la prima classe delle elementari. Ogni trimestre, i suoi voti sono sempre più belli: a scuola impara tante cose e si ap­passiona a tutto, in primo luogo consoce sempre più il Signore Gesù e stringe amicizia sempre più forte con Lui. Primo della classe, è pero sempre pronto ad aiu­tare tutti e accetta volentieri i piccoli sacrifici dello studio, dell'ordine, anche se è assai vivace.

"La Messa è un fatto grandissimo" - Al mattino vede il papà uscire. "Dove vai?" gli domanda Ermanno. "Vado a Messa". "Papà vengo an­ch'io " - decide. Da quel giorno, il papà gli spiega che cos'è la S. Messa e lui impara che Gesù rinnova il suo Sacrificio sull'altare e alimenta i suoi amici con il suo Corpo. "Allora, è un fatto grandissimo" - commenta. "Quando potrò anch'io ricevere Gesù nella Comunione?". Nella sua parrocchia, primavera 1937, inizia il catechismo per i bambini in preparazione alla prima Comunione. Ermanno ha solo sei anni, ma insi­ste con i genitori, con il parroco: "Anch'io voglio pre­pararmi, anch'io farò quest'anno, la prima Comunione!".

Lo vedono consapevole e gli consentono di fre­quentare il catechismo. Il 14 luglio 1937, realizza il suo primo grande sogno: riceve Gesù eucaristico per la prima volta, raccolto, attento, davvero un piccolo innamorato del Signore, e gli offre un proposito da "gigante": "Ti riceverò tutti i giorni". Da quei giorni, parteciperà ogni giorno alla S. Messa, sempre con la Comunione, preparato dalla confessione ogni settima­na e da un intenso impegno di vita cristiana.

Il papà gli domanda: "Che cosa farai da grande?". Ermanno non ha alcun dubbio: "Prima imparerò a servire la S. Messa, poi, inizierò gli studi e diventerò prete". Dopo qualche mese, torna alla carica: "Devi prepararti - gli risponde il papà che è proprio un buon cristiano - diventando sempre migliore, offrendo a Dio i tuoi sacrifici!". Il bambino capisce che per Gesù occorre essere pronti a tutto, s'impone diverse morti­ficazioni ed accetta con amore le sofferenza che in­contra.

Un giorno, la zia gli regala un paio di scarpe nuo­ve, che però gli fanno un gran male ai piedi. Accetta ugualmente di calzare ed esce in una lunga passeg­giata per la città. Quando rientra, dopo un vero mar­tirio, i suoi piedi sanguinano, ma non si lamenta, per­ché ha offerto tutto a Gesù, contento di soffrire per Lui e di aver fatta contenta la zia. Durante l'estate, fa un gran caldo ad Anversa e Ermanno pensa che Gesù sul­la croce ha patito anche la sete. Per lunghi giorni, per suo amore, rifiuta di bere fuori dei pasti, per poter of­frire qualcosa al suo grande Amico e dirgli il suo amo­re, concretamente. L'inverno 1940/41 è freddissimo e lui ha i geloni ai piedi. "Non uscire, resta a casa" - supplica la mamma. "Non posso - le risponde - Gesù mi attende alla S. Messa".

In casa Wjins capita un'enorme disgrazia. Il papà, troppo buono, ha aiutato un collega di lavoro in diffi­coltà, ma costui fa fallimento. Così il signor Wjins, per sostenere l'amico, perde tutto, trovandosi espro­priato del negozio, senza lavoro e ogni giorno più po­vero. Con la sua fede grande, non dispera: prega la Madonna con il Rosario. Ermanno comprende il dramma della sua famiglia: non si spaventa anche se non ha più la vita facile come prima e deve rinuncia­re a tante cose. Conforta i suoi genitori e li incoraggia a pregare. "Preghiamo, preghiamo tanto. Tutto si ag­giusterà. Mamma, non essere triste: se noi preghiamo con fede, papà ritroverà il lavoro".

"Io continuo a pregare" - Ogni sera, Ermanno con papà va a far visita a Gesù nel Tabernacolo. Al ritorno, pregano insieme la Madonna con il Rosario: ha imparato i 15 misteri e perfino le 150 invocazioni di S. Luigi de Montfort, da aggiungere al nome Gesù, in ogni Ave Maria. In casa, ora c'è miseria e a volte il cibo è scarso. Il bambino non si lamenta e, dopo la scuola, riesce a guadagnare ogni giorno un piccolo gruzzolo di soldi con alcuni la­voretti ed è felice di darli ai genitori.

Una sera, il papà gli dice che non potrà più man­darlo a scuola dai religiosi e che dovrà andare alla scuola statale. È un dolore molto grande che Ermanno non può sopportare: perde l'appetito, singhiozza in­consolabile. I suoi genitori vendono i pochi gioielli ri­masti affinchè il loro unico figlio possa ancora fre­quentare la sua scuola amata e trovarsi in un ambien­te educativo cristiano, senza rischiare di trovare mae­stri, compagni e idee stolti.

La vita si è fatta troppo dura. Una volta, mentre con papà recita il Rosario, la mamma sbotta: "A che serve pregare? Tanto Dio non ci ascolta!". Ermanno le risponde: "Mamma, la forza della preghiera sta nel continuare a pregare, vedrai, il Signore è buono e mi ascolterà". All'indomani, rientrando con il papà dalla Messa, domanda alla mamma: "Non ti vedo più pre­gare. Perché non vieni anche tu alla Messa con noi?". "A te non interessa quel che faccio io!" - gli risponde. Ed Ermanno: "Un giorno, papà e io saremo in Paradiso, e tu dove sarai?".

Continua a essere fedele al suo programma: "Preghiera e penitenza". Si alza, prestissimo, ogni mattina, si reca subito alla chiesa, dove recita il suo primo Rosario, poi partecipa alla Messa. Dopo pran­zo, il secondo Rosario, alla sera, il terzo... Ed è solo un bambino di nove anni. Ora anche nella sua terra, c'è la guerra terribile. I tedeschi hanno invaso il Belgio e dilagano dappertutto: ovunque c'è un clima di paura. Ermanno lo sente, ma si fida della Madonna: "È la nostra Mamma e ci aiuterà sempre".

Insiste per poter finalmente servire all'altare... Il papà gli dice: "Dovrai andarci tutti i giorni, anche du­rante le vacanze, anche quando dovrai rinunciare ad una gita". Ermanno accetta a qualsiasi condizione, pur di essere vicino a Gesù che discende sull'altare, si offre al Padre... Ha imparato tutte le preghiere in lati­no - come si celebrava allora la Messa; sa persino aprire il Messale alla pagina giusta per la liturgia ogni giorno. Torna dal suo "servizio", radioso: "Se hai qualche grazia da ottenere dal Signore - spiega alla mamma - dillo a me, che sono il più vicino a Lui". È innamoratissimo di Gesù eucaristico e gli ripete mille volte al giorno: "Ti voglio bene". Non lo dimentica neppure nel gioco.

È il momento in cui decide di risolvere a tutti i co­sti la triste situazione famigliare della mancanza di la­voro. Comincia con una novena alla Madonna, conti­nua con una seconda, una terza... Prega fino alla ven­ticinquesima novena. All'inizio della 25° novena, la Madonna lo esaudisce: il papà trova lavoro al mini­stero. Commenta Ermanno: "Vedete quando si perse­vera, si ottiene tutto".

Sacerdote di desiderio - Il 24 maggio 1941, come ogni altro giorno, Ermanno serve la Messa al parroco. Al termine, il buon prete gli domanda: "Davvero vuoi farti prete?". "Sì, o prete o nulla!". Al pomeriggio dello stesso gior­no, trova per la strada un Crocifisso, lo porta a casa, lo pulisce, lo bacia, lo appende nella sua camera. "Devo offrirgli - disse - la mia vita in riparazione dei pec­cati del mondo ". Verso sera, giocando con alcuni ami­ci, cade e si ferisce assai gravemente a una gamba. Perde molto sangue. Portato all'ospedale, durante la notte e poi, all'in­domani, subisce due interventi dolorosi: è tanto gran­de il suo dolore che sembra non capire più nulla. La suora che lo veglia, si accorge che il ragazzino. parla con qualcuno. Quando è un po' più calmo, gli doman­da: "Che cosa hai visto, piccolo mio?". Risponde: "Ho visto la Madonna. È così bella. Ora che l'ho vista, non posso più guardare un 'altra persona sulla terra ".

Il 26 maggio 1941, in piena lucidità, fa la sua ul­tima confessione, riceve Gesù eucaristico, l'Unzione degli infermi. È tranquillo, con una gioia, sul volto, come chi va ad una festa lungamente attesa. Il sacer­dote che l'assiste, gli ricorda: "Tu non hai paura, tu vai incontro al Signore".Mormora: "E starò con Lui per sempre".

Si spegne, pochi istanti dopo: il suo volto si illu­mina in un sorriso meraviglioso, il primo sorriso ri­volto a Gesù appena lo vede faccia a faccia, così co­me Egli è. Un illustre religioso amico della famiglia, dice: "Ermanno aveva un unico sogno, un grandissi­mo desiderio, quello di farsi prete. È morto a dieci anni senza diventarlo. Ma davanti a Dio, è in qualche modo sacerdote: sacerdote di desiderio, perché altri ragazzi e giovani lo diventino in realtà al suo posto". La sua tomba, ancora oggi, a più di 65 anni dalla sua morte, è meta di continui pellegrinaggi. Ermanno è ormai conosciuto in tutta la terra. Quelli che lo pre­gano sono aiutati nel corpo e nello spirito. Molti, leg­gendo la sua storia, ritrovano Dio.

Tratto da: “In braccio a Gesù” Profili di ragazzi esemplari di Paolo Risso